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Cara Boldrini…

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Cara Boldrini,
ho l’impressione che le sue ‘uscite’ stiano prendendo una deriva patologica; più martellanti di rintocchi di campane che non smettono di suonare.

Ma davvero crede che qualche giovanotto nerboruto o qualche ragazzina adusa al saluto romano siano in grado di minacciare dalle fondamenta questa già traballante e decrepita democrazia? Davvero vuole continuare a passare le sue giornate effondendo nell’aria un fastidioso e inverosimile buonismo? Veramente ritiene che il progresso tecnologico, lo smembramento del diritto del lavoro, la potenza globale delle multinazionali e mille altre questioni siano secondarie rispetto a minuti aneddoti di periferia che ci raccontano di fasci littori e robe del genere?

Alimenti la sua vena creativa. Respiri aria diversa. Frequenti le persone e i mercati rionali. E vedrà che i refrain degli anni settanta che lei utilizza con una certa ripetitività sono solo utile chincaglieria per uno svenevole politicamente corretto, e nulla più. Non dia l’impressione di una gigantesca penuria di idee. Non ripeta sempre e solo il mantra del razzismo e della xenofobia anche quando inaugura una pista ciclabile. Non rimesti nel torbido passato. Non agiti continuamente fantasmi di cui nessuno di noi sente la necessità e non alimenti le tensioni.

Le sembrerà strano ma avere idee diverse su omosessuali, famiglia, immigrazione, sovranità e quant’altro non è lesa maestà. Trattasi di democrazia. Non c’è dunque nessun regime alle porte o deriva autoritaria se non quella già vigente e progressivamente imposta da una pervadente economia finanziaria che Lei, da comunista qual è, dovrebbe combattere tutti i santi giorni con comunicati stampa, convegni, azioni politiche e  dichiarazioni pubbliche invece che perdersi in un cicalio di basso profilo.

Comoda la sua posizione! Utilizza aggettivi indigesti e antichi, e prospetta futuribili regimi in camicia nera. Torna al passato e predice il futuro, ma non rischia sul presente.
Eppure Lei non detiene la Verità. Può esprimere solo una verità personale.

Non faccia come il suo sodale, ex sindaco di Roma, che aveva invitato i destristi a ‘tornare nelle fogne’ ma a cui i giudici hanno dato torto. E ancor prima dei giudici, gli italiani, con la loro noncuranza e con un assoluto disinteresse. E sa perché, oltre ad una comprensibile ma circoscritta indignazione, si è dato poco spazio a repliche puntute verso il signor Marino Ignazio? Perché nelle fogne si trova l’intero popolo italiano. E c’è poca voglia di soffermarsi sulla chincaglieria dei simboli che a voi piace tanto. Non c’è proprio tempo di sproloquiare su bandiere rosse, frustini e stivali. È roba da sadomasochisti.

Cinque "no" allo ius soli

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Riccardo Pelliccetti - Ven, 16/06/2017 - 07:57

Le tutele esistono già, la norma non ha senso. Ben 160 Paesi nel mondo non la applicano o la hanno edulcorata



L a sinistra forza la mano ed è scontro durissimo al Senato sullo ius soli. Perché tutta questa bagarre? Cosa si nasconde dietro questa legge che i progressisti vogliono approvare a tutti i costi? Cominciamo col dire sinteticamente che lo ius soli è di fatto la concessione automatica della cittadinanza a chiunque nasca nel nostro Paese, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.
Ma cerchiamo di chiarire il perché non possa funzionare in Italia e quali rischi si correrebbero trasformando lo ius soli in legge.

LE MOTIVAZIONI ASSURDE

Le motivazioni addotte per giustificare questo colpo di mano sono essenzialmente due, depurate naturalmente dai tanti deliri buonisti: il diritto all'uguaglianza e la presenza di troppi immigrati in attesa di diventare cittadini. Ebbene, sono entrambe ragioni che non stanno in piedi. La prima è addirittura una fandonia perché in Italia non viene violato alcun principio di uguaglianza: tutti i minori, a prescindere dalla cittadinanza, godono degli stessi diritti, dall'istruzione alle cure sanitarie fino all'iscrizione a società sportive o ad altre associazioni. La seconda motivazione, invece, è inaccettabile perché di fatto affermerebbe il principio della scorciatoia (con tutte le conseguenze che vedremo nel caso ius soli), negato ad esempio a milioni di italiani in attesa di una sentenza civile o penale, di un ricorso fiscale, di riscuotere un credito dallo Stato, di ricevere una cura sperimentale eccetera.

PERCHÉ NESSUN PAESE LO ADOTTA

Se 160 Paesi nel mondo non applicano lo ius soli ci sarà un motivo o vogliamo definirli tutti xenofobi? Detto che lo ius soli è tipico dei Paesi anglosassoni, soprattutto il Nord America, territorio d'immigrazione, bisogna ricordare che la Gran Bretagna e l'Eire, dove era in vigore, hanno deciso di abolirlo, rispettivamente nel 1983 e nel 2005. Anche la Germania, che applica lo ius soli, ha messo dei rigidi paletti: cittadinanza ai nuovi nati solo se i genitori hanno un permesso di soggiorno da tre anni e risiedano nel Paese da almeno otto anni. Perché nel mondo allora nessuno lo adotta? Semplice: per tutelare la cultura e l'identità della popolazione e, quindi, la sua sopravvivenza, messa a rischio da uno sbilanciamento etnico e demografico con generazioni che per cultura e fede difficilmente potranno integrarsi nella comunità nazionale.

CONSEGUENZE SOCIO ECONOMICHE

Se la legge entrasse in vigore, immediatamente quasi un milione di stranieri diventerebbero cittadini italiani. La «cittadinanza facile», provocherebbe un'altra spinta all'immigrazione, già a livelli insostenibili, aumentando il peso sul sistema sanitario, sulla previdenza e sull'occupazione. Nel 2016 quasi 200mila stranieri hanno ottenuto la cittadinanza italiana senza ius soli e il ritmo cresce di anno in anno. Di fronte a questi numeri si comprende quanto sia inutile una maggiore apertura. Nelle classifiche mondiali del net immigration rate (che tiene conto di immigrati ed emigrati), l'Italia figura fra i Paesi in vetta, davanti a Londra, Madrid, Lisbona. Un tasso elevato, come rilevano questi istituti di statistica, può provocare crescente disoccupazione e conflitti etnici. E la riduzione di forza lavoro in settori chiave, se continuasse la fuga all'estero dei giovani italiani.

NON INTEGRAZIONE MA INVASIONE

L'introduzione dello ius soli, come dicevamo, invece di favorire l'integrazione aprirebbe la strada a un'ulteriore immigrazione senza alcuna integrazione. Quanti stranieri approfitterebbero subito della politica delle porte aperte per far nascere i figli in Italia? Consapevoli degli scarsi controlli, sarebbero incoraggiati dalle nostre stesse leggi. Non esiste un'immigrazione contingentata e proporzionata alle necessità dell'Italia. Ma non solo. I migranti che sbarcano negli ultimi anni provengono in stragrande maggioranza da Paesi musulmani, con una fede e una cultura del diritto troppo lontana da quella occidentale che, è sotto gli occhi di tutti, sono pochi a voler far propria. La stessa Istat, nelle recenti proiezioni demografiche dei prossimi 40 anni senza lo ius soli, ha rilevato che la popolazione straniera potrebbe attestarsi a 20 milioni di persone. Che succederebbe con lo ius soli in vigore? Probabilmente in 20-30 anni, gli stranieri supererebbero la popolazione italiana e, acquisendo cittadinanza e diritto di voto, cambierebbero totalmente non solo gli equilibri sociali ma anche quelli politici.

IL RISCHIO TERRORISMO

Concludiamo con il rischio più grave, quello che minaccia la nostra sicurezza: il terrorismo. Lo ius soli diventerebbe il grimaldello per aprire anche le porte al terrore. Nel giro di pochi anni l'Italia si ritroverebbe inerme di fronte all'offensiva jihadista perché questa legge impedirebbe il ricorso alle espulsioni, che oggi ci permettono di neutralizzare la minaccia, rimpatriando quegli stranieri sospettati di fiancheggiare il terrorismo. A questo si aggiungerà quel fenomeno, ormai tristemente noto in Francia, Gran Bretagna e altri Paesi europei, delle seconde e terze generazioni di immigrati musulmani considerate terreno fertile per la diffusione dell'integralismo islamico. La possibilità di espellere potenziali terroristi negli ultimi due anni è stata decisiva: dal 2015 a oggi sono stati infatti espulse 175 persone sospettate di collusione con il terrorismo.

Un cane abbandonato fuori dal rifugio porta con sé una lettera della sua vecchia famiglia

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cristina insalaco



«Ciao, mi chiamo Buddy. Ho fatto tutte le vaccinazioni e ho preso i farmaci contro le pulci. Sono troppo grande per vivere nel mio vecchio appartamento, e ho bisogno di una casa con un grande cortile. Vado d’accordo con i bambini. È molto difficile per me lasciare la casa in cui sono stato amato, ma spero di trovare lo stesso amore con una nuova famiglia». Questo è il bigliettino che hanno scritto i suoi precedenti proprietari prima di abbandonarlo dentro a una gabbia davanti all’ingresso di un rifugio in costruzione. 



Ad accorgersi di Buddy è stato un volontario della Henry County Humane Society, che ha trovato l’animale senza acqua né cibo. Quando è stato liberato e portato al canile della zona, era spaventato e confuso, ma ben presto ha instaurato un ottimo feeling con i volontari della struttura. «Per sicurezza l’abbiamo vaccinato una seconda volta - dicono - in modo da poterlo dare in adozione». 



Quando i responsabili del canile hanno raccontato sui social la sua storia, il cagnolino ha ricevuto molte richieste di adozione. E alla fine Buddy è stato preso da una famiglia che ha un altro cane che gli assomiglia molto: «Oggi ha un grande cortile dove poter correre proprio come c’era scritto sul foglietto - dicono i nuovi padroni -. Abbiamo realizzato i suoi desideri, quelli della precedente famiglia, e anche i nostri». Ed è stata dedicata a lui una raccolta fondi per sostenere la costruzione del nuovo rifugio, davanti al quale Buddy era stato abbandonato.

Amazon il Leviatano

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mattia feltri

Sapete che cosa è Amazon? Qualsiasi cosa abbiate risposto è sbagliata. Amazon è tutto. Ieri ha preso Whole Foods Market, la più grande catena di supermercati bio al mondo. L’idea è di togliere casse e dipendenti: si entra, si compra, si paga con un clic. A Seattle ci sono due supermercati di Amazon dove non si entra: si fa la spesa in rete e la si ritira nel parcheggio. Ricominciamo da capo: Amazon è nota perché è un enorme magazzino online, vi lavorano oltre 200 mila persone e 45 mila robot (un anno fa i robot erano 30 mila).

Su Amazon si comprano scarpe, cosmetici, libri, divani, giocattoli, e si riceve a casa. Negli Stati Uniti dopo i piccoli negozi cominciano a chiudere i centri commerciali. Amazon è l’editore del Washington Post. Ha un’emittente tv che trasmette film, fiction, show, e produce fumetti. In sei anni ha erogato prestiti alle piccole e medie imprese per 3 miliardi di dollari: il prestito arriva in 24 ore, e in caso di insolvenza Amazon impegna la merce per rivalersi. Ha una linea di moda, ha ideato un assistente vocale per le auto, finanzia la corsa allo spazio e sta studiando un sistema di consegne sulla Luna. Che fa ridere, ma spiega prospettive e visione. Amazon è uno Stato multinazionale. 

Ha potenza economica illimitata e crescente. Come tutti i giganti di Internet, è il motore del bello e dell’inevitabile distruzione di posti di lavoro. Sta sconvolgendo il mondo e se ne sono accorti tutti, tranne la politica. Come minimo, servirebbe un ministero. Peccato ci sia tanto da fare con le preferenze e i capilista. 

A cosa serve la rete cellulare 5G?

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andrea signorelli

Si fa un gran parlare delle potenzialità della nuova tecnologia di trasmissione dati mobile, ma i tempi sono ancora lunghi

Da qualche mese a questa parte, il 5G – ovvero la nuova generazione di trasmissione dati mobile – è diventato uno degli argomenti più discussi nel mondo della tecnologia, generando enormi aspettative e trovando un posto alla tavola dove siedono intelligenza artificiale, blockchain, IoT e le altri principali innovazioni comparse negli ultimi anni. Il gran parlare che si fa del successore del 4G/LTE potrebbe far pensare che il suo avvento sia imminente, eppure la situazione è molto diversa: il lancio effettivo del 5G non avverrà prima del 2020, mentre per le applicazioni in grado di sfruttarne davvero le capacità dovremo attendere ancora più a lungo.

Un’attesa che sarà probabilmente ripagata, viste le notevoli caratteristiche tecniche promesse: la velocità passerà dai (teorici) 100 megabits al secondo del 4G per raggiungere i 10 gigabits, mentre la latenza (il tempo d’attesa affinché avvenga la connessione) scenderà a un millisecondo (dai circa 20 attuali). A tutto ciò, si aggiunge la capacità di connettere contemporaneamente oltre un milione di dispositivi per chilometro quadrato.

Ma come verrà sfruttata tutta questa potenza? «A differenza delle generazioni precedenti, l’aspetto decisivo non sarà la connessione tra le persone o tra gli oggetti e le persone», ha spiegato Rahim Tafazolli, direttore del 5G Innovation Centre della University of Surrey, in occasione del Huawei Innovation Day che si è tenuto a Londra. «La vera trasformazione del 5G riguarderà prima di tutto la capacità di connettere i dispositivi tra di loro».

La nuova generazione di trasmissione dati avrà quindi un ruolo fondamentale nell’implementazione della internet of things, mettendo in comunicazione gli oltre venti miliardi di oggetti intelligenti che, secondo le stime di Gartner, popoleranno le nostre città nel giro di un paio d’anni: «Il 5G sarà quindi un’infrastruttura in grado di servire l’industria in ogni suo aspetto, grazie all’efficienza elevatissima e alla capacità di supportare un enorme numero di dispositivi contemporaneamente», prosegue Tafazolli.

Gli esempi concreti non mancano: dalla chirurgia a distanza (che sfrutterà la bassa latenza per rendere affidabile il controllo in remoto di robot in grado di eseguire anche le operazioni più delicate), alla realtà virtuale mobile (resa possibile dalla grande velocità di trasmissione), fino alle auto autonome, che rappresentano probabilmente l’applicazione più importante del 5G.

«Affinché le auto autonome possano davvero circolare su strada senza provocare incidenti, è necessario che la comunicazione da veicolo e veicolo avvenga in tempi rapidissimi», ha spiegato Egon Schulz del consorzio 5G Infrastructure Association. «Solo il 5G offre i requisiti necessari in termini di latenza, affidabilità e capacità di gestire contemporaneamente un enorme numero di automobili».

Prima che tutto questo diventi realtà, però, ci sono ancora parecchi ostacoli da superare: l’implementazione del 5G necessita infatti l’installazione di un numero molto elevato di celle, richiedendo quindi grandi investimenti; inoltre manca ancora un protocollo standard per definire esattamente che cosa sia e quali caratteristiche debba rispettare la nuova generazione di trasmissione dati (al momento l’International Telecommunication Union ha emesso solo delle linee guida non ufficiali). Non solo: prima che le applicazioni decisive del 5G, come le auto autonome, diventino realtà trascorreranno ancora parecchi anni.

Considerando anche come il 4G non abbia ancora esaurito le sue potenzialità, non è un po’ troppo presto per concentrarsi sulla nuova generazione? «La storia di queste tecnologie ci ha dimostrato come l’avvento di una nuova generazione non sostituisca la precedente», ha spiegato Tafazzoli. «Secondo le nostre stime, il 4G verrà sviluppato ancora per i prossimi dieci anni, mentre le prospettive per il 5G arrivano almeno fino al 2040».

Gatto lanciato da un'auto in corsa viene salvato da una donna in autostrada

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noemi penna



Christina Hamlett stava guidando sull'autostrada 288 della Virginia quando ha visto una piccola palla di pelo sul lato della strada. Non riusciva a crederci che si trattasse proprio di un gattino. E si è subito precipitata in suo soccorso.



Il cucciolo era rannicchiato, immobile. E Christina sapeva che aveva poco tempo per salvarlo dal traffico. E nonostante il pericolo, ha inchiodato, è scesa dall'auto ed è corsa a prenderlo. Il gatto era miracolosamente vivo ma «pensiamo che sia stato buttato giù da un'auto, visto il trauma cranico che ha riportato». Insomma, un terribile inizio di vita.



Inutile dire quanto il micio fosse terrorizzato. Christina lo ha avvolto in un asciugamano e ha iniziato ad accarezzarlo, per farlo sentire finalmente al sicuro. E con l'aiuto di un volontario della St. Francis Humane Associationè stato portato in una clinica veterinaria specializzata dove ha iniziato la sua strada per il recupero.



Quale miglior nome per lui se non Lucky, fortunato? Il due settimane si è rimesso alla grande e nonostante il trauma, continua ad amare e ad aver fiducia nelle persone. Christina gli ha fatto visita in ospedale, ed è stata accolta da una tempesta di fusa: «Credo che mi abbia riconosciuta!». E appena si sarà completamente ripreso sarà anche pronto per l'affidamento, per essere amato e viziato lontano chilometri da chi ha deciso di lanciarlo dal finestrino.

TruCam arriva in autostrada: sull’A22 il telelaser in grado di vedere dentro l’abitacolo

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mattia eccheli (nexta)

Il nuovo strumento non è solo in grado di rilevare l’eccesso di velocità, ma anche il mancato uso delle cinture di sicurezza e l’utilizzo del telefono al volante



L’A22 del Brennero, 314 chilometri tra il confine con l’Austria e Modena, è la prima autostrada in Italia ad adottare i nuovi e tecnologici telelaser TruCam - già in prova in Lazio e Sardegna - in grado di rilevare almeno tre infrazioni al Codice della strada. Non solo la velocità, ma anche il mancato uso delle cinture di sicurezza e, soprattutto, l’uso del cellulare al volante: il tutto fino a un chilometro di distanza.

“Dall’inizio dell’anno il traffico è cresciuto del cinque per cento - spiega il direttore tecnico dell’A22, Carlo Costa -. Abbiamo così il massimo dei volumi combinato con il minimo dell’incidentalità, perché i sinistri sono calati attorno al tredici per cento”. Solo che, sulla base delle rilevazioni della Polizia Stradale, quelli più gravi solo legati alle distrazioni, spesso legate all’uso degli smartphone: infatti dall’inizio dell’anno sono stati registrati meno feriti (-16,5%), ma due morti in più.

Il nuovo telelaser ha l’ingombro di una piccola telecamera e può essere impiegato sia in maniera tradizionale, sul cavalletto, ma può anche essere montato direttamente sulle auto di servizio. La logica dell’adozione del telelaser è quella di aumentare la sicurezza. La società ha ordinato due dei nuovi dispositivi (il cui oscilla tra i 20 ed i 30 mila euro) che nella prima fase, verosimilmente da luglio, quella sperimentale, saranno impiegati lungo la rete nelle sole province di Bolzano e Trento. Dopo, l’uso dei sofisticati controlli dovrebbe essere esteso al resto della tratta.



L’A22 ha rinunciato al cosiddetto tutor, ma i controlli lungo la tratta sono capillari: quotidianamente circolano lungo la rete una ventina di pattuglie, incluse le cosiddette auto civetta, quelle senza insegne. Su queste ultime è stato installato lo “speed control”, un sistema che la società ha fatto omologare per consentire la rilevazione della velocità con auto in movimento: “L’obiettivo è che le contestazioni avvengano subito. E sul posto”, aggiunge Costa. Il terzo sistema con il quale viene monitorata l’andatura sull’Autobrennero è quello “solito”, l’autovelox montato sul treppiede: il rischio è che essere “pizzicati” mediante questa tecnologia rappresenti quasi un sollievo.

Polemica sui maestri trasferiti al Sud. “Più della metà ha usato la legge 104”

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di SALVO INTRAVAIA

Alle elementari record di spostamenti grazie alla norma per assistere i familiari disabili. Al Nord il dato è sotto l’1%. I presidi: “Un istituto di civiltà. Ma serve una stretta anti abusi”

Polemica sui maestri trasferiti al Sud. “Più della metà ha usato la legge 104”

Record di (lunghi) trasferimenti verso le regioni meridionali grazie alla legge 104. Qualche giorno fa, il ministero dell’Istruzione ha reso noti i dati sui cosiddetti “movimenti” (trasferimenti, passaggi di cattedra e di ruolo, provinciali e interprovinciali) richiesti dai maestri di scuola elementare, molti dei quali spediti al Nord dalla Buona scuola del governo Renzi. E non mancano le sorprese. Perché, su oltre mille movimenti interprovinciali chiesti verso le regioni meridionali, oltre la metà (il 53 per cento) è stata possibile grazie alla norma che tutela alcune categorie di persone. In primis, chi deve assistere un conbiuge o figlio disabile grazie alla legge 104.

Un passo indietro. Parliamo di spostamenti che in genere si ottengono in base al punteggio per titoli e anzianità di servizio. Ma anche in base alle tutele (“precedenze”) previste per alcuni casi particolari. Il più comune è l’applicazione della legge 104 sulla tutela dei disabili. Gli altri casi disciplinati (perdenti posto, coniugi di militari, personale che ricopre cariche pubbliche e sindacalisti al rientro dal distacco) sono evidentemente residuali. A livello nazionale, la quota di trasferimenti agevolati è attorno al 21 per cento. Al Nord è bassissima: riguarda appena un trasferimento interprovinciale ogni cento. Mentre al Sud oltre metà dei maestri rientrati a casa ha “scavalcato” colleghi con un punteggio maggiore grazie alla legge 104.

Sulla questione, già due anni fa, scoppiò la polemica e il Miur assicurò controlli stringenti per stanare i potenziali furbetti. Ma la percentuale dei trasferimenti verso le regioni meridionali con “precedenza” sorprende anche i dirigenti. Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), è netto: «Nessuno mette in discussione l’importanza della legge 104. Ma questi dati fanno temere un abuso e una totale assenza di presupposti alla base delle certificazioni. O ci sono due Italie, con due livelli di cagionevolezza completamente diversi, o dobbiamo pensare ad abusi in alcune parti del Paese. Altrimenti questi numeri non si giustificano.

Le pubbliche amministrazioni si mettano in condizione di fare controlli più stringenti, soprattutto in alcune aree». È la Calabria la regione che detiene il record: 100 movimenti interprovinciali agevolati su 130. Un 77 per cento che stride con i dati di Lombardia e Piemonte, entrambe sotto l’1 per cento, o del Friuli dove neppure un trasferimento è stato agevolato. Nelle regioni dell’Italia centrale (Umbria, Marche, Lazio e Toscana) la quota di trasferimenti determinati dalle precedenze non raggiunge il 5 per cento. Mentre Sicilia e Campania, con 68 e 65 per cento, sono seconda e terza in classifica.

E a livello provinciale si registrano sbalzi ancor più consistenti: in provincia di Cosenza, 33 dei 36 maestri che hanno ottenuto il trasferimento da un’altra provincia hanno scavalcato tutti appoggiandosi alla 104. Un vero e proprio record (92 per cento) che neppure Agrigento arriva a scalfire: con 10 movimenti su 11, si ferma al 91 per cento. Anche il sindacato auspica controlli più accurati. Lena Gissi, segretaria della Cisl scuola, chiede «più controlli, ma non a macchia di leopardo». «Servirebbe — spiega — un coordinamento del governo per portare avanti queste verifiche. Le differenze nei numeri tra Nord e Sud potrebbero essere determinate dai diversi sistemi
sanitari, che sono a gestione regionale, e con diverse sensibilità rispetto alle tutele. Come sindacato non abbiamo interesse a difendere i furbi, ma è pur vero che al Sud ci sono situazioni di povertà e deprivazione tali da spingere i cittadini a cercare più tutele

Facci sospeso perché rivendica il diritto all'odio

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Alessandro Sallusti - Sab, 17/06/2017 - 16:18

Sull'onda degli attentati in Europa, il giornalista rivendicava il diritto ad odiare l'islam e gli islamici. Ora l'Ordine lo ha sospeso per due mesi dalla professione e dallo stipendio



L'Ordine dei giornalisti ha sospeso per due mesi dalla professione e dallo stipendio Filippo Facci, collega di Libero e noto volto televisivo. Nell'articolo finito sotto inchiesta, scritto nel luglio dello scorso anno, Facci rivendicava il diritto ad odiare l'islam e gli islamici. Un articolo molto duro, nella forma e nella sostanza, scritto sull'onda degli attentati fatti nel nome di Allah che in pochi giorni provocarono in Europa oltre cento vittime, la maggior parte delle quali a Nizza.

Conosco Filippo Facci e lo stimo, come collega e come intellettuale. È un uomo talmente libero da non aver raccolto quanto il suo talento gli avrebbe permesso accettando solo qualche piccolo e umano compromesso. No, non c'è verso: lui si infiamma e parte in quarta senza remore e limiti. Per questo piace a molti lettori, meno a direttori ed editori. Figuriamoci ai colleghi invidiosi, ai notai del pensiero, ai burocrati del politicamente corretto.

Filippo Facci non farebbe male a una mosca (al massimo è capace di farlo a se stesso) e per questo non mi spaventa che abbia rivendicato il «diritto all'odio» di una religione e di una comunità che hanno generato i mostri assassini dei nostri ragazzi. L'odio inteso - nell'articolo è ben spiegato - non come incitamento alla violenza, ma come sentimento contrario a quello dell'amore, «detestare» come opposto di «ammirare». I sentimenti non si possono contenere, ma evidentemente non si possono neppure scrivere. Tanto più se sei un giornalista, se non sei di sinistra, se pubblichi su un giornale di destra, se si parla di islamici.

Il tema posto da Facci sul diritto all'odio (Travaglio, tanto per fare un esempio, lo teorizzò nei confronti di Berlusconi) è questione aperta nonostante sia stata affrontata nei secoli da fior di filosofi e da grandi intellettuali. Che a differenza dei colleghi del tribunale dell'Ordine di Milano non sono mai arrivati a un verdetto unanime (e qualcosa vorrà pur dire).

Qui non parliamo di una notizia falsa o di fatti e persone specifiche. Siamo di fronte all'opinione di un intellettuale. Il problema non è condividerla o meno. È non censurarla, non soffocarla, non punirla, come abbiamo sempre invocato per chiunque, compreso per Erri De Luca quando istigò al sabotaggio della Tav. Tanti islamici, anche se non terroristi, anche se non lo dichiarano, odiano noi e i nostri costumi. Noi stiamo per premiarli dando la cittadinanza automatica ai loro figli. Però puniamo Facci che non fa mistero dello stesso, reciproco, sentimento. Mi spiace per lui e mi spiace per la categoria così ridotta. Ma soprattutto mi spiace per tutti noi.

Stop alla vendita del cd Roger Waters: “Ha plagiato le opere di Isgrò”

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A sinistra la copertina del cd di Water, a destra un’opera di Isgrò

Stop alla vendita in Italia, sia nei negozi che online, dell’ultimo disco da solista dell’ormai ex leader dei Pink Floyd, Roger Waters. La decisione sorprendente è stata presa dal Tribunale di Milano che ha ravvisato, infatti, un’ipotesi di plagio nella copertina, nel libretto interno, nelle etichette sia del cd che del vinile, ma anche nel merchandising correlato, delle celebri “cancellature” dell’artista concettuale siciliano Emilio Isgrò, quasi coetaneo con i suoi 79 anni del fondatore 73enne della storica band inglese.

La Sezione specializzata in materia di impresa con il giudice Silvia Giani ha, dunque, ordinato con un decreto urgente alla Sony, che distribuisce in Italia il disco “Is This the Life We Really Want?”, prodotto dalla Columbia Records, di bloccare da subito, almeno fino all’udienza di merito fissata per il 27 giugno, la commercializzazione dell’album per violazione del diritto di autore. «Quello che si è verificato è un plagio palese delle mie opere - ha commentato Isgrò - in particolare delle opere esaminate dal Tribunale (tra cui `Cancellatura´ e `Il Cristo Cancellatore´ del ’64, ndr). Detto questo, e al di là di questo - ha aggiunto il pittore - Roger Waters è un artista che ammiro, e che mi piace molto. E magari, un giorno, avremo anche occasione di incontrarci».

Mentre Sony Italia ha fatto sapere che non intende rilasciare dichiarazioni sul procedimento, fino al primo pomeriggio di oggi il cd, uscito due settimane fa, era comunque ancora in vendita nei grandi store, oltre che sulle piattaforme online. E ciò in attesa, probabilmente, che la comunicazione del provvedimento della magistratura arrivi a tutti i rivenditori. A quel punto, chi avrà già comprato l’album potrebbe avere in mano un pezzo da collezione.

I legali di Isgrò, gli avvocati Salvatore Trifirò e Francesco Autelitano, dal canto loro, potrebbero puntare anche chiedere il blocco delle vendite in altri Paesi. Per ora attendono l’udienza di fine mese nella quale Sony (e forse anche Columbia Records) dovrà cercare di convincere il Tribunale a non confermare la decisione presa in via cautelare. Lo stesso giudice, ad ogni modo, fa presente a Sony nel provvedimento la possibilità di una «composizione bonaria», che potrebbe significare andare a riconoscere economicamente quei diritti d’autore che sarebbero stati violati. 

Cassazione: i crostacei sul ghiaccio o in frigorifero soffrono, è maltrattamento

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Tenere crostacei vivi in frigorifero o sul ghiaccio è una condotta che provoca «gravi e sicure sofferenze» all’animale, e, per questo, va punita con una condanna per maltrattamento. Così la Cassazione spiega perché, nello scorso gennaio, ha reso definitiva la condanna di un ristoratore di Campi Bisenzio, a cui il tribunale di Firenze aveva inflitto un’ammenda di 5mila euro. Nel ristorante di cui era direttore, infatti, erano stato trovati crostacei vivi, in attesa di essere cucinati, in una cella frigorifera e con le chele legate, e, dunque, secondo l’accusa «in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze».

La Suprema Corte ha condiviso la conclusione del giudice del merito sottolineando che «negli ultimi anni diverse ricerche abbiano portato una parte della comunità scientifica a ritenere che i crostacei siano esseri senzienti in grado di provare dolore»: inoltre, animali di tale specie vivono «in acque a temperature alte», si sottolinea nella sentenza depositata ieri, e nei ristoranti più importanti e supermercati della grande distribuzione sono «tenuti in acquari a temperatura e ossigenati». 

La «consuetudine sociale di cucinare i crostacei quando siano ancora vivi non esclude che le modalità di detenzione degli animali possano costituire maltrattamenti - rileva la Cassazione - perché, mentre la particolare modalità di cottura può essere considerata lecita proprio in forza del riconoscimento dell’uso comune, le sofferenze causate dalla detenzione degli animali in attesa di essere cucinati non possono essere parimenti giustificate in quanto soltanto nel primo caso l’interesse (umano) alla non-sofferenza dell’animale soccombe nel bilanciamento con altri interessi umani della più varia natura e legittimati dalla presenza di leggi». 

Al contrario, sottolineano i giudici di legittimità, «non può essere considerata come una consuetudine socialmente apprezzata quella di detenere siffatta specie di animali a temperature così rigide tali da provocare sicure sofferenze, posto che gli operatori economici generalmente usano sistemi più costosi nella detenzione di crostacei e quindi sistemi di tenuta più rispettosi degli animali».

La Cassazione quindi conclude affermando che «al pari della tutela apprestata nei confronti degli animali di affezione, integra il reato ritenuto in sentenza la detenzione dei crostacei secondo modalità per loro produttive di gravi sofferenze e, per altro, adottate per ragioni di contenimento di spesa, con la conseguenza che, nel bilanciamento tra interesse economico e interesse (umano) alla non-sofferenza dell’animale, è quest’ultimo che, in tal caso, deve ritenersi prevalente e quindi penalmente tutelato». 

Ius soli, la lezione dimenticata del politologo Sartori

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Luca Romano - Sab, 17/06/2017 - 18:27

Sartori nel 2013 sosteneva: "Lo ius soli è un errore gravissimo, sarebbe un disastro in un paese con altissima disoccupazione. Aumenterebbe le file dei lavoratori sottopagati e la delinquenza per le strade, aggraverebbe tutti i nostri problemi"

C'è una lezione dimenticata che sta facendo il giro del web. È quella del professor Giovanni Sartori. Il politogo, ormai defunto, in un articolo del 2013 pubblicato sulle colonne del Corriere della Sera, tuonava contro la Kyenge e lo Ius soli. E scriveva: "Al momento mi occuperò solo di un caso che mi sembra di particolare importanza, il caso della Ministra "nera" Kyenge Kashetu nominata Ministro per l'Integrazione. Nata in Congo, si è laureata in Italia in medicina e si è specializzata in oculistica. Cosa ne sa di "integrazione", di ius soli e correlativamente di ius sanguinis?".

Il politologo poi continuava: "La ministra Kyenge spiega che il lavoro degli immigrati è "fattore di crescita", visto che quasi un imprenditore italiano su dieci è straniero. E quanti sono gli imprenditori italiani che sono contestualmente falliti? I dati dicono molti di più. Ma questi paragoni si fanno male, visto che "imprenditore"è parola elastica. Metti su un negozietto da quattro soldi e sei un imprenditore. E poi quanti sono gli immigrati che battono le strade e che le rendono pericolose? La brava Ministra ha anche scoperto che il nostro è un Paese "meticcio". Se lo Stato italiano le dà i soldi si compri un dizionarietto, e scoprirà che meticcio significa persona nata da genitore di razze (etnie) diverse. Per esempio il Brasile è un Paese molto meticcio.

Ma l'Italia proprio no. La saggezza contadina insegnava "moglie e buoi dei paesi tuoi". E oggi, da noi, i matrimoni misti sono in genere ferocemente osteggiati proprio dagli islamici.

Ma la più bella di tutte è che la nostra presunta esperta di immigrazione dà per scontato che i ragazzini africani e arabi nati in Italia sono eo ipso cittadini "integrati". Questa è da premio Nobel. Mai sentito parlare, signora Ministra, del sultanato di Delhi, che durò dal XIII al XVI secolo, e poi dell'Impero Moghul che controllò quasi tutto il continente Indiano tra il XVI secolo e l'arrivo delle Compagnie occidentali? All'ingrosso, circa un millennio di importante presenza e di dominio islamico. Eppure indù e musulmani non si sono mai integrati. Quando gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale se ne andarono dall'India, furono costretti (controvoglia) a creare uno Stato islamico (il Pakistan) e a massicci e sanguinosi trasferimenti di popolazione. E da allora i due Stati sono sul piede di guerra l'uno contro l'altro".

Sartori poi aveva rincarato la dose a La Zanzara spiegando: "Lo ius soli è un errore gravissimo, sarebbe un disastro in un paese con altissima disoccupazione. Aumenterebbe le file dei lavoratori sottopagati e la delinquenza per le strade, aggraverebbe tutti i nostri problemi. Come idea è demente perché è dei paesi sottopopolati che vogliono nuova popolazione: sarebbe l’ultimo colpo per consentire l’accesso a tutti, migranti e clandestini".

Dove riposano le armature del grande cinema: viaggio nella storia dell’attrezzeria Rancati

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andrea cionci

Dagli scaffali traboccano elmi romani, greci, vichinghi, passando per le fogge più varie del Medioevo e del Rinascimento, fino agli elmetti delle ultime guerre mondiali



Appena entrati, sembra di sentire il frastuono delle bighe di “Ben Hur”, il clangore delle spade di “Braveheart”; nelle narici, il fumo della biblioteca in fiamme de “Il Nome della Rosa”, frammisto agli incensi egiziani di “Cleopatra”… Abbiamo avuto modo di visitare gli enormi depositi della storica attrezzeria cine-teatrale Rancati, a Guidonia, vicino Roma, dove si sovrappongono, in un caleidoscopio di riflessi metallici, le reliquie dei più grandi film della storia del cinema.

Dagli scaffali traboccano elmi romani, greci, vichinghi, passando per le fogge più varie del Medioevo e del Rinascimento, fino agli elmetti delle ultime guerre mondiali. Addossate alle pareti, faretre irte di frecce, foreste di lance e alabarde, casse ricolme di pistole e archibugi, centinaia di armature complete, schierate come fossero i famosi guerrieri di terracotta dell’imperatore cinese Qin Shihuang.
Un arsenale tanto imponente quanto inoffensivo, come si affannano spesso a spiegare alle insospettite guardie di frontiera, i camionisti che trasportano all’estero i materiali della Rancati.



Nonostante la solida consistenza e l’ottima rifinitura degli oggetti, si tratta solamente di giocattoli, destinati a equipaggiare eserciti di attori e comparse. L’azienda, vanto dell’industria cinematografica italiana, è attiva fin dal 1864, anno in cui fu fondata da uno scultore milanese, Edoardo Rancati, che, dalla preparazione delle scenografie teatrali, passò alla produzione di accessori per il mondo dello spettacolo. I costumisti possono, infatti, confezionare abiti e copricapo, ma non possono produrre accessori per i quali servono materiali e attrezzature specifiche.

I discendenti di Edoardo Rancati, Giuseppe, Romolo e Cristina Sormani, proseguono ancor oggi l’attività di famiglia con due sedi, una a Milano, che serve soprattutto il Teatro alla Scala, e una vicino Roma, per il cinema. L’azienda ha, oggi, in magazzino ottomila gioielli, 5mila armi, 2mila cinture, 4mila elmi, tutti prodotti a mano dal laboratorio aziendale per le imponenti produzioni americane degli anni Cinquanta – Sessanta. Lo standard di qualità conobbe un grosso balzo in avanti facendo i conti con le esigenze di Visconti, Fellini e altri esigentissimi registi italiani.

Tanto per citare alcuni film degli ultimi anni, i comprimari del film “Elisabeth - The Golden Age”, hanno indossato le armature incise e niellate a mano della Rancati, cui appartengono anche i mobili del set della fiction “I Vicerè”, di Faenza.



Sono custoditi tra gli scaffali dei labirintici magazzini anche gli spaventosi elmi zoomorfi da gladiatore dell’omonimo kolossal con Russel Crowe, così come le armature della saga di “Asterix” - nella versione cinematografica con Gerard Depardieu - e le calotte con paranaso del film “Le Crociate”, con Jeremy Irons.



I cimeli più divertenti sono il grottesco cimiero indossato da Gassman nelle vesti di Brancaleone, il personaggio reso immortale da Monicelli, e l’enorme armatura di Bud Spencer, genuino Ettore Fieramosca ne “Il soldato di ventura”, di Festa-Campanile. Le reliquie più «cult», sono i libroni, le pergamene e i calamai de “Il Nome della Rosa”, di Jean Jacques Annaud, i bauli de “Il Padrino”, le buffetterie de “Il Paziente inglese”, i gladii dei legionari romani di “The Passion”, di Mel Gibson.

Nessuna concessione al feticismo da cinefili: tutti gli oggetti rimangono “in servizio”, in attesa di essere noleggiati ad altre produzioni, come nel caso delle armature realizzate per il lanzichenecchi de “Il mestiere delle armi” di Olmi, che finirono sulle tavole del palcoscenico della Scala, per i coristi de “Il trovatore” di Giuseppe Verdi. Interessante notare come tra gli oggetti di prima e dopo la guerra vi sia un forte aumento dell’attenzione verso le rifiniture. Quando la qualità delle pellicole e la tecnologia delle macchine da presa migliorarono, anche gli accessori dovettero farsi più verosimili: ogni dettaglio veniva messo a fuoco dall’obiettivo e di conseguenza non ci si poteva più permettere le approssimazioni consentite su un palco teatrale.

La lavorazione artigianale divenne quindi sempre più attenta: le visiere degli elmi cominciarono ad essere sbalzate e martellate a mano, i fregi cesellati a bulino e le superfici metalliche di pettorali e schinieri ad essere lavorate tramite la corrosione di acidi (le acqueforti di memoria medievale e rinascimentale) per disegnare sull’acciaio blasoni, fiorami e lambrecchini. A volte, basta un particolare poco credibile a rovinare un intero film, rompere un’emozione, e gli accessori devono quindi sembrare appena usciti dalla vetrina di un museo.

Tuttavia, sebbene la sfida alla realtà sia sempre viva, essa deve anche fare i conti con i costi di produzione. I trucchi, quindi, non mancano: i proiettili delle mitragliatrici sono di legno tornito a mano, pistole e fucili, visti da vicino, non sono altro che pesanti giocattoloni, riprodotti a stampo dagli originali in un’unica fusione di lega leggera, quasi fossero stati requisiti a giganteschi soldatini di stagno. 

Terrorismo, arrestato a Crotone richiedente asilo iracheno

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Un richiedente asilo iracheno, Hussein Abs Hamir, 29 anni è stato arrestato dalla Polizia per terrorismo. L’uomo, secondo le indagini, avrebbe fatto propaganda per l’Isis istigando alcuni ospiti del centro Sprar di Crotone a entrare a far parte del sedicente Stato islamico e a compiere atti violenti.
Non c’è bisogno di andare in Iraq o in Siria per fare il jihad: si può anche rimanere in Italia, «per redimere gli infedeli», ai quali va «tagliata la gola», ha affermato l’uomo in una conversazione intercettata con la sorella.

Alla donna l’iracheno riferisce che nonostante qualcuno gli avesse chiesto di tornare nel suo Paese per prendere parte alla guerra santa dell’Isis, proprio la condivisione dei principi del jihad lo avrebbero invece spinto a rimanere in Italia per «redimere gli infedeli». «A queste persone - ha detto alla sorella - dovrebbe essere tagliata la gola». 

Fotografie della Questura di Crotone e di alcuni funzionari di polizia sono state trovate sul telefono cellulare di Hussein Abs Hamir, che alcuni mesi fa ha compiuto un viaggio a Roma per accertare se era controllato e se sarebbe stato fermato dalla polizia nel corso del viaggio. 

Figli di m. ignota

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Non si conosce la mamma di nessuno di loro. Tantomeno il padre. Sono tutti bambini, senza documenti, e di cui è impossibile  ricostruire le origini. Anche volendo utilizzare eventuali tratti somatici, non si caverebbe un ragno dal buco. Sono quasi tutti figli di rapporti sessuali consumati fra le privazioni e le violenze dei campi di concentramento libici. Figli di m. ignota, insomma. E anche di chissà quali e quanti padri. Ecco perché vengono caricati nelle parti più pericolose dei barconi per clandestini: perché nessuno si occupa o preoccupa di loro. E nessuno si dispererebbe se durante la traversata crepassero per i mille e un motivo fra i peggiori che possono succedere su quelle tombe semigalleggianti.

Sono troppo giovani per avere un passato da villaggio, capanna e famiglia. La loro attonita esistenza testimonia, piuttosto, la ferocia neonazista dei carcerieri islamici libici, e non solo, che li vedono (e li fanno) nascere fra gli stupri quotidiani nei lager in cui i disperati attendono di essere imbarcati per l’invasione dell’occidente. Sono migliaia, le donne abusate dal momento in cui le famiglie d’origine le vendono o le cedono e se le vedono rapire sotto gli occhi e fra gli stenti. Ragazzine minorenni destinate all’orrendo mercato della prostituzione a vita. Considerando che la vita di queste disgraziate non dura così a lungo. Giusto il tempo di sfruttare al meglio la loro gioventù o qualche dono di natura. Poi, calce viva o sacchi neri e machetate.

Sti bambinetti vengono dati in aggiunta al carico. Vengono bene in video allo sbarco e toccano il cuore dei finti buoni. E, cosa non da poco, valgono bigliettoni sul mercato dell’assistenza. Gli Stati, infatti, pagano molto di più (alle ONG, NdA) per il mantenimento di un minore, rispetto a quanto sborsano per un adulto. E, dunque, ci stanno riempendo di figli di m. ignota, che cresceranno senza famiglia, senza controlli, arrabbiati e carichi di odio sociale. Fra venti, trent’anni questo nostro Paese sarà un bordello. Ci rifaranno dei bei film neoneorealisti. Si organizzeranno tavole rotonde e le università studieranno il nuovo vecchio fenomeno dei figli di m. ignota 2.0.

Noi, ormai vecchi, stanchi e demoralizzati, vedremo ardere gli ultimi tizzoni di Palazzo Pitti, del Duomo e del Colosseo. Avremo gli occhi velati dalla povertà di Stato e dalla liberatoria Summa degli anni vissuti. Ci pisceremo sotto e dimenticheremo di prendere le pillole.

Loro, beh, loro avranno già trasformato l’Italia in una latrina. Del resto, non erano altro che un esercito di figli di m. ignota…

#frameeme

Ius soli? 14volte no!

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asdf

Lo ‘ius soli’ ha il valore simbolico dello ‘ius primae noctis’, che sarà stato anche un falso storico, ma da entrambi ricaviamo la stessa percezione di una imposizione calata dall’alto; di una fregatura, insomma.

Non entro nel vivo delle questioni tecniche, nei meandri sempre paradossali e complessi della eventuale legge, dei commi e degli articoli. Resto alla premessa, alla strategia e alla visione d’insieme che è quanto di più antidemocratico si possa considerare in un momento storico come il nostro. Vale a dire, a come si sia arrivati a questo moderno ‘ius primae noctis’ senza un minimo di realismo ma strabordanti di falso ecumenismo che quel geniaccio di Giovanni Papini avrebbe definito ‘pecoreccio’. Perché l’idea nascosta, e perciò non detta, è che il futuro ci prospetti una società globale senza vincoli, limiti e identità, e quindi sia giusto ‘attrezzarci’ per tempo.

Aggiungerei, per onestà, che cosa buona e giusta sarebbe quella di ‘ritirare’ – se solo fosse possibile – la patente di italianità anche a tanti connazionali indegni, ma qui si aprirebbe un altro capitolo che ci porterebbe lontano e quindi restiamo al punto.

Nessuno si ostina a rifiutare il fatto che vi siano persone col pieno diritto di sentirsi ‘ufficialmente’ italiani ma allo stesso tempo bisogna anche accettare che non è solo questione di carte bollate e di timbri. E soprattutto che se vi sono politici che riducono una così complessa questione a slogan di nazionalismo spicciolo e anacronistico, ciò non significhi che le tesi di fondo siano errate e chi li condivida sia un reazionario becero.

E allora provo a confutare, una ad una, le premesse di una scelta che ritengo ideologica prima che politica.
  1. Leggo di paragoni con l’Impero Romano e mille altri regni o monarchie ed epoche della Storia che farebbero da pezze d’appoggio in tema di moderna inclusione e di integrazione più o meno coatta. Nulla di più sbagliato. Decisioni di questo tipo vanno calate nella realtà sociale di uno specifico contesto storico. Non c’è una legge che vale per tutti i tempi. Così come non c’è un governo o un regime adatto per ogni situazione. 
  2. Che sia una questione ideologica è chiaro e palese a tutti. Il fatto che giornali e Tv intervistino bambini nati in Italia da genitori stranieri, cogliendo il lato umano e drammatico di quelle esperienze, è operazione volgare e indegna.
  3. Se da una parte c’è chi sostiene questa tesi facendosi vergognosamente scudo con le facce e le storie di bambini, c’è un ministro dell’Interno che ci intima di tenerci lontano dai cattivi maestri. Ora, con tutto il rispetto che si deve per un ministro così importante, va da sé che sentir parlare un ex comunista di cattivi maestri provoca risentimento e irritazione di non lieve entità. Chi sarebbero i ‘cattivi maestri’? Quelli che hanno una posizione diversa sui flussi migratori o sul concetto di cittadinanza? Se è così, si sbaglia caro Ministro; i Salvini e le Meloni di turno non c’entrano. Si tratta di un sacrosanto scontro dialettico che è sale della democrazia.
  4. Si finisca, una volta e per tutte, di portare come esempio gli altri Paesi. Solo qualche giorno fa, un deputato di Forza Italia ci invitava a dare uno sguardo alla legislazione di non so quale stato africano dove le regole di integrazione sarebbero più restrittive. Non so se sia una boutade o una ‘uscita’ fatta col proposito di provocare una discussione pubblica. Tuttavia, su questo tema vale lo stesso discorso fatto per le riforme costituzionali. Le leggi si fanno tenendo presente l’interesse primario dei cittadini e il contesto storico, economico e sociale. Giolitti diceva che un sarto, quando taglia un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all’abito…e così doveva fare un politico. Ecco, lorsignori facciano il vestito tenendo conto della attuale situazione generale e perciò non annuncino la palingenesi della umanità. Non c’è riuscito Gesù Cristo, dovremmo credere ai sinistrorsi e ai democratici di turno?
  5. Non è assolutamente vero che il tema della identità non è connesso ai flussi migratori. A leggere i dati, per la quasi totalità, coloro che scappano dai propri paesi sono migranti economici. Sono cioè futura mano d’opera a basso costo che si prepara ad integrarsi nel nostro sistema economico e a rendere ancor più labile le certezze del diritto del lavoro grazie alla percezione reale di poter diventare in un breve-medio periodo cittadini.
  6. Tenuto conto di ciò, dal punto di vista simbolico, approvare lo ‘ius soli’ sarebbe un colpo micidiale (positivo) per coloro i quali ci ritengono ‘il paese del bengodi’. L’idea di partorire in Italia per ottenere una futura cittadinanza sarebbe un incentivo incredibile per i poveri e i diseredati dell’intero Mediterraneo.
  7. In tutti i Paesi del mondo cosiddetto civile, gli immigrati si adeguano alle leggi del paese ospitante. Da noi sta succedendo l’inverso. C’è timidezza e ritrosia nel segnalare questa verità lapalissiana quasi si offrisse la stura ad un nuovo razzismo. Tuttavia, di fronte a fenomeni enormi, invece di regolarli e stringere le maglie, abbassiamo ai minimi termini la soglia del lecito e del legittimo.
  8. Insieme allo ‘ius soli’ il Parlamento ha pensato di collegare una sorta di ‘ius culturae’, una cittadinanza data <<agli under 12 che abbiano frequentato almeno cinque anni di scuola>>. Ma davvero si ritiene che possa essere sufficiente ciò per una reale integrazione? Un riassunto fatto bene all’esame di quinta elementare, delle tabelline citate a memoria o le divisioni? E se anche fosse così, qualcuno ha pensato che se il bambino con regolare licenza elementare e successiva cittadinanza italiana continui a frequentare predicatori di odio, in famiglia, in moschea o da qualunque altra parte, sarà integrato solo formalmente?
  9. In Paesi come Francia e Belgio le maglie larghe della integrazione hanno chiaramente palesato un tragico fallimento. Tante migliaia di ‘seconde’ e ‘terze’ generazioni sono francesi o belgi solo sulla carta. Come i fatti dimostrano, restano invece legati ai paesi di provenienza dei loro familiari. E questo se da un lato non sarebbe un male perché tutti devono custodire le proprie antiche radici, dall’altro preoccupa perché in non rari casi si rifanno al radicalismo islamico e a fanatismi di vario tipo.
  10. Una volta che avranno compiuto qualche atto terroristico, non potremmo nemmeno espellerli. Sarebbero italiani e quindi dovrebbero restare nelle nostre carceri, il luogo in cui più si alimenta il fanatismo.
  11. Italiani-razzisti è un panzana di dimensioni ciclopiche. La tolleranza e la solidarietà dei nostri concittadini supera di gran lunga talune comprensibili liti e contrasti. Tuttavia, quando l’accoglienza è messa da parte e si pensa alla ‘sostituzione’ di un popolo con un altro e nelle periferie piccole e grandi arrivano in massa clandestini, senza nessun ordine, disciplina, legalità, ed anche armonia, il minimo che possa accadere sono le rivolte modello-banlieue.
  12. Il tema dell’identità non è secondario. Nonostante viviamo in una società magmatica, ‘liquida’ avrebbe detto il famoso sociologo, non significa che ogni riferimento alle proprie radici debba per forza essere azzerato. Ecco perché a me fa paura un paese come la Germania dove si parla di ‘’persone che vivono qui’’ e non più di tedeschi. Su questo concetto si era aperto un dibattito alcuni anni fa ma la situazione non sembra essere cambiata visto che la settimana scorsa la Cancelliera Merkel ha ancora una volta utilizzato lo stesso perfido concetto (‘’tutte le persone che vivono qui’’).
  13. Non è un dato secondario il fatto che il migrante economico sia essenzialmente lo scopo principale del capitalismo finanziario che vuole esseri apolidi, non legati ad alcuna identità e soprattutto precari nel lavoro e disponibili per mano d’opera a basso costo. Che voglia cioè dei cittadini riconoscibili solo dal loro esser consumatori, senza valori autoctoni di rifermento.
  14. Ed infine, la deriva tragica ed eterna della sinistra contemporanea che rinnega completamente le sue idee storiche per mettersi dalla parte dei ‘padroni’. Non capisce che è tutto connesso: cittadinanza, flussi migratori, diritto del lavoro, eccetera. Finge di non accorgersi di nulla e porta avanti stupide battaglie ecumeniche che andranno a penalizzare le fasce di popolazione più deboli, proprio quelle che un tempo erano il suo bacino elettorale di riferimento. Ma tant’è.
Stiamo dunque vivendo tempi bui. Aveva ragione Baudelaire: all’inferno si scende per piccoli passi. Ma ho l’impressione che i nostri passi siano grossi e veloci.

C’era un cinese a Roma

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mattia feltri

Il dubbio è uno dei nomi dell’intelligenza, diceva uno che purtroppo non è più di moda, proprio come il dubbio. Sono tempi in cui, nell’unico dubbio ammesso, quello di passare per deboli, si preferisce inerpicarsi sulle barricate delle certezze, e sparare al nemico. Il dibattito parlamentare sullo ius soli (la cittadinanza per nascita) e il carnevale di commenti su Internet hanno seguito le logiche anabolizzate della certezza, per cui da una parte ci sono quelli persuasi che lo ius soli sia una sciagura, e dall’altra quelli persuasi che sia un grande passo dell’umanità.

Da certezza discende certezza, e dunque quelli a favore dicono che gli altri sono contrari per accarezzare gli istinti suburbani dei loro elettori, e quelli contrari dicono che gli altri sono a favore per accarezzare l’imbecillità buonista dei loro, di elettori.

Dopo di che, chissà se sarà utile a incrinare le certezze degli schieramenti un vecchio discorso di George W. Bush, ex presidente degli Stati Uniti dove c’è lo ius soli: «Noi siamo legati da valori di fondo che ci muovono al di sopra della nostra quotidianità, ci sollevano al di sopra dei nostri interessi, ci insegnano che vuol dire essere cittadini. Ogni cittadino deve sostenere questi principi. E ogni immigrato, attraverso la condivisione di questi ideali, rende il nostro paese più, non meno, americano».

Senza bisogno di Bush, qui qualche dubbio è sorto quando nostro figlio ha invitato a casa un bimbo orientale della sua scuola romana. Di dove è?, abbiamo chiesto a nostro figlio quando il bimbo è andato via. «Di Roma». 

Nemmeno il tempo cura le ferite d’amore

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paolo mastrolilli

Secondo i ricercatori della University of Aberdeen gli effetti dello choc sono permanenti e non esiste una cura



Il cuore spezzato dal dolore, o dalle pene d’amore, non è un’invenzione degli artisti romantici. È una vera sindrome, che secondo gli studiosi della University of Aberdeen colpisce migliaia di persone, in prevalenza donne.

Questo problema fisico era già stato analizzato in Giappone all’inizio degli anni Novanta, ed era stato definito come la «Takotsubo syndrome», dal nome di una trappola per polipi che ricorda l’apparenza presa dal ventricolo sinistro quando subisce il colpo. Il sostanza quando il muscolo del cuore subisce uno shock, a causa di un intenso stress emotivo o fisico, cambia forma, e questo influisce in maniera negativa sulla sua abilità di pompare il sangue.

Gli studiosi di Aberdeen, finanziati dalla British Heart Foundation, hanno seguito per oltre 4 mesi 52 pazienti di età compresa tra 28 e 87 anni, soggetti alla «Takotsubo syndrome», e purtroppo hanno scoperto che nemmeno il tempo cura le ferite dell’amore. Gli effetti dello choc sono permanenti e non esiste una cura. In Gran Bretagna circa 3.000 persone sono affette dalla sindrome, e in general circa l’80% dei pazienti sono donne. 

Cane spinto giù dall'auto in autostrada viene salvato dai testimoni del gesto crudele

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noemi penna



Kiwi è stato abbandonato vicino all'imbocco dell'autostrada a Burton, in Inghilterra. Forse sarebbe meglio dire scaricato visto che è stato spinto fuori da una macchina che ha inchiodato pensando di aver trovato il posto giusto ed è ripartita sgommando, lasciandolo spaventato e disorientato al ciglio della strada lo scorso primo giugno.



Per fortuna a vedere tutta la scena sono stati dei volontari del Hillfield Animal Home, che in quel momento si trovavano proprio sul luogo dell'abbandono. E se così non fosse stato, «la sua storia sarebbe stata molto diversa. Il povero cane avrebbe potuto facilmente imboccare la corsia dell'autostrada che si trova proprio lì affianco e andare incontro alla sua morte».



Il loro intervento immediato è stata una vera manna dal cielo. Ma l'esperienza è stata comunque molto drammatica per Kiwi, che si è visto lasciare in mezzo ad un strada da quello che credeva essere il suo miglior amico. «Come si può far questo ad un cane? Kiwi sarebbe potuto morire e avrebbe anche potuto causare un incidente autostradale. Siamo consapevoli che i cani sono una grande responsabilità e che alcune persone semplicemente non possono farvi fronte. Ma ci sono ben altri modi per "sbarazzarsi" di un animale domestico», ricorda il personale del canile inglese.



Kiwi non aveva il collare e neanche il microchip: i veterinari lo hanno trovato sottopeso e sporco, ipotizzando che potesse avere circa un anno. Il trauma lo ha fatto diventare ansioso, ma è molto dolce. E ora che si è rimesso in forze, è alla ricerca di una casa e di una famiglia amorevole. Umana, se possibile. 

Nessuno vuole la statua di Lenin: l’asta va a vuoto

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Lenin si arrende alle leggi del mercato. Oppure, se preferite questa seconda lettura: Lenin si fa beffa del capitalismo, che vorrebbe far soldi con la sua memoria. Cambiando l’ordine delle interpretazioni, il prodotto non cambia: l’asta organizzata nel fine settimana in Germania per vendere la statua del padre della rivoluzione d’ottobre, che un tempo sovrastava la piazza antistante la stazione di Dresda, è andata deserta.

Nessuno ha messo sul piatto i 150.000 euro chiesti come offerta minima da una casa d’aste a Gundelfingen, in Baviera, per portarsi a casa un pezzo di storia tedesca. Per quasi vent’anni il colosso in granito rosso, alto 12 metri e del peso di 80 tonnellate, ha fatto parte integrante dell’architettura di Dresda: il “capostazione rosso”, come venne ribattezzato, fu svelato nel 1974, per i 25 anni dalla nascita della Germania dell’Est e rimosso nel 1992, a Ddr ormai defunta.

Piuttosto che farla a pezzi e sotterrarla – come avvenuto al memoriale a Lenin abbattuto nel 1991 a Berlino, la cui testa è stata riportata alla luce nel 2015 – la statua venne ceduta dalla città a Josef Kurz, uno scalpellino che aveva sviluppato un singolare hobby: raccogliere i memoriali dei leader comunisti, per creare un giorno un parco delle statue a Gundelfingen. Un progetto che non ha mai visto la luce. E così, dopo la sua morte, i suoi figli hanno deciso di vendere la sua collezione. Con scarso successo: Lenin è stato snobbato, nonostante alla vigilia si parlasse di un interesse anche dalla Cina e dalla Russia.

Non è andata meglio a Stalin e al comunista tedesco Ernst Thälmann: nel fine settimana neanche le loro statue hanno trovato acquirenti. Cosa succederà ora con Lenin? Per ora la casa d’asta attenderà nuove offerte nelle prossime quattro settimane. L’idea di riportare il colosso a Dresda, avanzata da un consigliere comunale della Linke, è stata messa da parte dopo una vivace discussione - per questione di soldi. Persino nel caso in cui la statua le venisse donata, non è detto che la città la accetterebbe, ha spiegato l’assessore alla cultura Annekatrin Klepsch, che milita a sua volta nella Linke: prima bisognerà verificare a quanto ammonteranno i costi di gestione.
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