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Il giallo del pensionato scomparso e del collezionista di ossa: «Cercate nel Tevere»

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di Fabrizio Peronaci

Doppio enigma alla Magliana: nel 2003 sparì Libero Ricci, 77 anni, e nel 2007 poco distante fu trovato uno scheletro. Si pensò all’anziano, ma il dna fornì una risposta-choc: le ossa erano di 5 persone diverse. Il portiere del palazzo: «Amava pescare»

Lo scheletro trovato nel 2007 e la sponda del Tevere dove è stato cercato l’anziano scomparsoLo scheletro trovato nel 2007 e la sponda del Tevere dove è stato cercato l’anziano scomparso

Tra i tanti misteri della Roma più nera, quella che gronda sangue dei morti ammazzati e lacrime di chi li amava e sudore freddo degli assassini quando si sentono braccati, c’è una storia dimenticata. Macabra e inafferrabile. Degna di un thriller mozzafiato, oppure di un colossal. E infatti sono già usciti, sia il libro sia il film, per raccontare una vicenda simile, ambientata oltreoceano. Titolo: «Il collezionista di ossa».

Che è un modo gentile di chiamare un necrofilo, probabilmente psicopatico, certamente da tenere alla larga se lo s’incrocia sotto casa la sera. La protagonista del film era Angelina Jolie, bravissima agente dell’Fbi alle prese con un cadavere trovato vicino ai binari. Ma quella era fiction. Alla Magliana, invece, una dozzina d’anni fa accadde davvero. Giallo da incubo: tibia dopo tibia, femore dopo femore… Un rebus che ora, grazie a un testimone, potrebbe finalmente avviarsi a soluzione: «Cercate nel Tevere, il corpo può essere lì…»

Libero Ricci, il pensionato scomparso nel 2003 alla Magliana: il corpo non è mai stato trovato
Libero Ricci, il pensionato scomparso nel 2003 alla Magliana: il corpo non è mai stato trovato

È il primo pomeriggio del 26 luglio 2007 quando la triste storia del pensionato scomparso quasi 4 anni prima si incrocia con quella dei morti senza nome. A dare l’allarme è un abitante della zona: un incendio si sta mangiando il canneto ai bordi della pista ciclabile, all’altezza di via Pescaglia. Arrivano i pompieri e, domato il fuoco, viene alla luce qualcosa di lugubre: uno scheletro. Annerito, bruciacchiato.

E quasi completo: teschio, costato, bacino, arti superiori e inferiori... «Colleghi, chiamate la Questura, questa è roba da sezione omicidi...» Ma non è finita. Sullo stesso terreno vengono recuperati, in un marsupio, un mazzo di chiavi e un portafoglio contenente una carta d’identità ancora leggibile: «Libero Ricci, pensionato».

È lui. Finalmente lo si è trovato: l’ex artigiano decoratore di 77 anni, che aveva lavorato a lungo con ditte al servizio del Vaticano, era sparito il 31 ottobre 2003, dopo essere uscito dall’appartamento al settimo piano di via Luigi Rava 7, in cui abitava con la moglie Emilia.

Caso risolto? Sembra di sì: «I resti sono del vecchietto, torniamo alla base», salutano i pompieri. La Scientifica intanto è al lavoro. Fotografa, spolvera, cataloga le ossa. Un lavoro di fino, mentre due poliziotti vanno a controllare in via Rava: le chiavi corrispondono. Ivana Ricci, la figlia, allarga le braccia: «Mia madre non ha retto al dolore, poco dopo è morta anche lei. Quella mattina papà uscì per la solita passeggiata e chissà cosa gli è successo...»

Il punto della pista ciclabile della Magliana in cui, nel 2007, 4 anni dopo la scomparsa del pensionato, fu trovato lo scheletro con le ossa di 5 persone
punto della pista ciclabile della Magliana in cui, nel 2007, 4 anni dopo la scomparsa del pensionato, fu trovato lo scheletro con le ossa di 5 persone

Stacco. Cambio di scena. Passa qualche anno. Le ossa adesso sono sui tavoli asettici dell’Istituto di Medicina Legale per l’estrazione del dna e il confronto con il codice genetico dei figli di Ricci. La stampa non ha più seguito la vicenda - di anziani inghiottiti dalla metropoli se ne contano tanti - e anche i consulenti tecnici se la sono presa comoda.

Ma, nel febbraio 2010, arriva la notizia choc: tutto da rifare, quei resti non erano di Libero Ricci. Nulla di nulla, neanche una falange! La genetista, nel comunicarlo in Procura, è incredula: «Dottore, sa la novità?

Le ossa di via Pescaglia sono appartenute a 5, le ripeto, 5 persone diverse...» Marcello Monteleone, il pm, sgrana gli occhi. «Ne è sicura?» «Certo». Parte l’inchiesta per omicidio volontario plurimo e occultamento di cadaveri...

Eccoci dunque catapultati nel mistero più fitto. Calotta cranica, denti, femori e rotule, da questo momento, iniziano a «parlare». Il dna non lascia margini a dubbi: si tratta dei resti di tre individui femmina e due maschi.

L’analisi al radiocarbonio, inoltre, dà indicazioni abbastanza precise su età ed epoca del decessi, tutti avvenuti nell’arco degli ultimi 15-20 anni. «Stiamo a vedere... Le famiglie di scomparsi potrebbero darci una mano», ragiona il magistrato.

Ad ognuno viene attribuito un codice: F1, la donna di cui si hanno più reperti anatomici (teschio, vertebre, costato), doveva avere tra i 45 e i 55 anni quando, nel periodo novembre 2002-novembre 2006, passò a miglior vita. Analogamente vengono disegnati gli altri profili: ci sono le femmine F2 (una tibia disponibile, 20-35 anni al momento

della morte) e F3 (una fibula, 35-45 anni), ma anche i maschi M1 (una scapola e un braccio, 40-50 anni) e M2 (un femore destro, 25-40). Con un’ulteriore sorpresa, relativa a F1: il dna mitocondriale non esclude si tratti di una parente di Libero, sul lato materno.

Renzo Mori, il portiere del palazzo di via Rava che per ultimo  vide il pensionato scomparso
Renzo Mori, il portiere del palazzo di via Rava che per ultimo vide il pensionato scomparso

Scenario da brividi. Il giallo finisce in tv. Chi l’ha visto?propone l’immagine dello scheletro-puzzle e tanti chiamano cercando una madre, un marito, una figlia… La fiammata mediatica, però, dura poco.

Non emerge niente di concreto, le ossa restano anonime. E il magistrato, nel 2012, si arrende: caso archiviato. Ma non nei ricordi (e nell’inquietudine) della gente della Magliana... Renzo Mori, il portiere del palazzo dove abitava il pensionato, un’idea ce l’ha.

Lo incontro nella guardiola di via Rava tappezzata di sue foto in tenuta da maratoneta. «Visto? Il mio record è sotto le tre ore…» Accidenti, penso: un ottimo tempo. Ma siamo qui a parlar d’altro. «Quella mattina sor Libero uscì verso mezzogiorno.

Mi salutò con cortesia e si avviò a passettini piccoli, barcollando. Non so, forse aveva un principio di Alzheimer. L’abbiamo cercato con i cani per giorni, abbiamo fatto battute ovunque. Anche dove, anni dopo, è saltato fuori lo scheletro».

Un’elaborazione grafica (di Vincenzo Progida) del doppio giallo della Magliana
Un’elaborazione grafica (di Vincenzo Progida) del doppio giallo della Magliana

Lo blocco. «Mi accompagni sul posto?» «Ok. Andiamoci in bici». Dal locale caldaia ne tira fuori due professionali. È meno di un chilometro: poche pedalate e siamo davanti al canneto dell’orrore, ora rigogliosissimo. «Va a fuoco spesso, poi ricresce. Sta’ attento…» Ci inoltriamo in una specie di giungla.

«Le ossa erano laggiù, sotto al muretto. Vicino c’erano il mazzo di chiavi e il portafoglio». Strano, no? «Mah, ci ho pensato. Lui era distratto, non ci stava tanto con la testa. Può esse’ benissimo che se l’era persi, un passante l’ha raccolti e poi, non sapendo che farsene, ha buttato il tutto».

E dunque? «Andiamo al fiume». Lo seguo. Nuova giungla. Baracche, materassi fetidi, topi. «Ascolta bene. Qui c’era un sentiero. Sor Libero c’aveva ‘na grande passione: la pesca. Finché guidava, se n’annava a Fiumicino con la sua A112 blu, di nascosto dalla moglie.

Negli ultimi tempi, invece, mi capitava di incrociarlo sulla ciclabile, quando correvo, mentre lui tornava a casa con la canne in spalla. Quella mattina, anche se ormai sfarfallava, avrà avuto voglia di passa’ un po’ di tempo sulla riva. Poi ha avuto un malore, e chi s’è visto s’è visto…»

E va bene, ammettiamolo pure. Il corpo di Libero Ricci potrebbe essere qui, sotto i nostri occhi, incagliato sul fondale limaccioso del Tevere. Qualcuno, a questo punto, potrebbe anche dare una controllata... Ma gli altri punti interrogativi restano. Tanti e inquietanti. L’incendio del canneto fu casuale o servì a far trovare lo scheletro?

Il «collezionista di ossa» voleva mandare un segnale, o forse mettere in scena un macabro «gioco»? I numerosi resti umani, in ogni caso, a chi appartennero? Vittime di omicidi? Suicidi? E ancora, domanda delle 100 pistole, come spiegare l’identità genetica tra il pensionato e F1, la donna del teschio? Coincidenze, indizi, colpi di scena: un cold case da manuale del crimine. Altro che film...
(fperonaci@rcs.it)

Chi è l’assassino? Roma e i delitti dimenticati

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di Fabrizio Peronaci

In Procura, oltre ai fascicoli famosi, sono custoditi gli atti di decine di cold case che potrebbero riaprirsi grazie a nuove prove. Dall’omicidio della stazione Ostiense a quello della commercialista chiusa nell’armadio, dal giallo della giovane avvelenata a San Lorenzo al mistero di Eleonora Scroppo, da Maga Magò al delitto Castellari, fino alla strana morte di un ex calciatore trasteverino

Febbraio 1995, detective ucciso al binario 10

Il detective ed ex rappresentante di elettrodomestici Duilio Saggia Civitelli (in basso, foto esclusiva del Corriere) fu ucciso con una colpo di pistola alla testa il 12 febbraio 1995, mentre attendeva il treno al binario 10 della stazione Ostiense. Gli investigatori seguirono due piste: passionale e usura. Ma non emerse nulla e tre anni dopo l’inchiesta fu archiviata.

Oggi Massimo Saggia Civitelli, il figlio, anche lui 007, non esclude che a sparare sia stato «un serial killer innamorato del gesto gratuito», un pericoloso criminale forse ancora in circolazione: «Ho studiato tutti i fatti di sangue avvenuti a Roma negli anni successivi. Tra la Piramide e Trastevere, ci sono stati tre casi fotocopia: mio padre, una suora, il fotografo dei vip sotto ponte Testaccio. Spero in una confessione...»


Aprile 1994, la commercialista nell’armadio e mister X

Antonella Di Veroli, commercialista di 47 anni, fu uccisa a Montesacro il 10 aprile 1994. Il corpo fu trovato nell’armadio della stanza da letto, sigillato con la colla, dopo un giorno e mezzo di ricerche. Furono sospettati i due amanti della vittima, un fotografo (poi assolto) e un

collega più anziano (prosciolto al termine dell’istruttoria), ma resta in piedi anche la pista di un terzo uomo, resa concreta dai numerosi indizi sottovalutati nella prima fase delle indagini e venuti alla luce durante il processo in Corte d’assise. Gli avvocati: «Con le nuove tecniche su Dna e impronte caso risolvibile»


Febbraio 2000, sociologa avvelenata. «Rebus risolto in 10 mosse»

È il 22 febbraio 2000 quando Francesca Moretti, 29 anni, sociologa impegnata nel sociale, innamorata di un capo rom a Roma, viene avvelenata nella casa presa in affitto assieme ad altre giovani fuorisede. L’omicidio viene scoperto in ritardo: sulle prime i medici del San Giovanni non identificano la causa della morte. La successiva inchiesta giudiziaria, nello scetticismo della famiglia della vittima, punta su un’amica e coinquilina di Francesca, Daniela Stuto, 26 anni, laureanda in Psicologia.

La ragazza viene indagata per omicidio volontario e spedita alla sbarra, ma esce innocente dal processo in Corte d’assise: assolta per non aver commesso il fatto. L’avvocato della famiglia Moretti, quasi vent’anni dopo, chiede la riapertura dell’inchiesta alla Procura di Roma: 10 indizi «precisi e concordanti» emersi dall’esame delle carte potrebbero portare all’assassino.


Ottobre 1998, morte ai Due Ponti: attore sospettato

Era la sera del 9 ottobre 1998, all’ora di cena, quando la tranquillità di una famiglia borghese venne squassata per sempre: un killer si appostò in giardino, nel buio, non visto, e fece fuoco contro tre persone che erano all’interno, a tavola. Teatro della tragedia una villetta di via Due Ponti, sulla Cassia. Travolti dalla tempesta di revolverate padre, madre e uno dei due figli. Morì la donna, Eleonora Scroppo, assicuratrice cinquantenne.

Suo marito Stefano Ciampini e il ragazzo si salvarono gettandosi sotto il tavolo. Per l’omicidio Scroppo - dopo aver esplorato tutte le piste, da quella sentimentale a quella legata a questioni di lavoro - fu sospettato il vicino di casa Loris Bazzocchi, all’epoca 67 anni, attore di film, polizieschi e non, piuttosto noto(ha recitato in una sessantina di pellicole, diretto anche da registi famosi come Steno, Comencini, Squitieri, Lattuada).



L’uomo fu indagato per omicidio volontario: a suo carico c’erano la Procura di Roma ravvisò una serie di indizi piuttosto seri, a cominciare dalla richiesta su come procurarsi un’arma di cui parlò un testimone, ma al termine dell’istruttoria il pm Leonardo Frisani chiese l’archiviazione.

Bazzocchi oggi è espatriato e vive in Germania. Facilmente rintracciabile in Rete, c’è una sua fotografia sul set, curiosamente identica alla scena avvenuta nella realtà, quella sera d’autunno, da parte di uno spietato killer tuttora ignoto.

Gennaio 1993, piazza Navona piange Maga Magò

Era il 3 gennaio 1993 quando un amico, dopo averlo cercato per giorni, trovo il corpo di «Maga Magò», come lo chiamavano tutti, accoltellato a morte nel suo monolocale di Trastevere: un delitto che sconvolse la città e in particolare i frequentatori di piazza Navona. Norbert Walter Heymann, cartomante di Hannover, 53 anni, da molto tempo a Roma, si era fatto benvolere nonostante le sue bizzarrie.

Era considerato il più bravo a leggere i tarocchi e predire il futuro. Ad apprezzarlo erano personaggi della politica e dello showbitz di passaggio nella piazza, come Moana Pozzi, che lo incontrò pochi giorni prima dell’omicidio e fu interrogata dai carabinieri. Fu l’ennesimo fattaccio nella scia di sangue che colpì la comunità gay romana, un quarto di secolo fa: tra il 1990 e il ‘97 ben 24 casi, molti dei quali irrisolti.


Gennaio 1993: Sergio Castellari, un mistero italiano

Il corpo di Sergio Castellari, supermanager di Stato, direttore generale delle Partecipazioni Statali, fu trovato su una collinetta a nord di Roma, nel comune di Sacrofano, il 25 gennaio 1993. Suicidio? Omicidio? Messinscena dei servizi segreti deviati?

Un giallo di Stato concluso ufficialmente con l’archiviazione («fu suicidio»), ma che continua a sollevare dubbi. Sette gli indizi che lasciano ipotizzare uno scenario diverso: dal cane della pistola trovato alzato (operazione ardua per un uomo che si è appena sparato in testa) alla presenza di una bottiglia di whisky in piedi, dopo 5 giorni, nonostante la pioggia


Gennaio 1995, «Bisigato» e la donna del mistero

E’ il 19 gennaio 1995: il pensionato Alessandro Pieri, 78 anni, ex calciatore dell’Alba Roma (serie C, anni Trenta) in seguito autista del Servizio affissioni del Comune, non si presenta all’appuntamento con un amico, rivenditore di accessori auto a Porta Portese, per andare a pranzo assieme.

Partono le ricerche, che finiscono presto, tragicamente. «Bisigato», come viene chiamato il pensionato per la somiglianza al famoso centravanti che giocò nella Lazio tra le due guerre, è morto in casa, in salotto, sul divano.

L’uscio al primo piano di via Morosini, a Trastevere, era semiaperto. L’uomo non era malato né depresso. Sul tavolo, due bicchierini di liquore mezzi pieni e un vassoio di paste. Nel portacenere qualche sigaretta di marca diversa dalle sue, con segni di rossetto. Prova evidente di un incontro galante.

Chi era la donna del mistero? Pieri fu avvelenato? Si trattò di un colpo delle false assistenti sociali o di cos’altro? La Squadra Mobile indagò per qualche settimana, poi si arrese e la morte del trasteverino con la passione del pallone finì nell’elenco dei cold case romani.


Cartelle esattoriali: verso 1 milione domande per pace fiscale. Ultimi giorni per aderire alla rottamazione

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di Fabrizio Massaro

Cartelle esattoriali: verso 1 milione domande per pace fiscale. Ultimi giorni per aderire alla rottamazione

a pace fiscale viaggia spedita verso un milione di adesioni. In base ai dati aggiornati al 18 aprile, sono quasi 865 mila le domande presentate all’Agenzia delle entrate-Riscossione, di cui circa 725 mila riguardano la cosiddetta rottamazione-ter e 140 mila il «saldo e stralcio» (ecco come funzionano: leggi l’articolo completo). In vista della scadenza del termine fissato al prossimo 30 aprile, l’andamento delle richieste è in forte crescita, quindi il traguardo di un milione potrebbe essere raggiunto in questi ultimi giorni a disposizione dei contribuenti.

TASSE E CONTRIBUTI


Lazio e Lombardia al top
È il Lazio seguito dalla Lombardia la regione con il maggior numero di richieste per la `pace fiscale´. Stando ai dati aggiornati al 18 aprile scorso, nella classifica per regione il Lazio è infatti in testa con circa 135 mila domande complessive, 14 mila per il saldo e stralcio e 121 mila per la rottamazione-ter.

La Lombardia si piazza al secondo posto con circa 127 mila richieste complessive, ma è prima per numero di adesioni al saldo e stralcio, quasi 19 mila (sono 108 mila quelle per la rottamazione ter). Sul podio anche la Campania dove le istanze totali presentate sono circa 99 mila di cui 18 mila per il saldo e stralcio e 81 mila per la rottamazione-ter.
Ultimi giorni per rottamazione cartelle
Come detto, sono gli ultimi giorni per aderire alla definizione agevolata delle cartelle esattoriali. Martedì 30 aprile, infatti, è il termine entro il quale inviare le domande per il «saldo e stralcio» e la «rottamazione-ter», con cui i contribuenti possono richiedere di beneficiare della riduzione dell’importo dovuto prevista dalla legge. In vista della scadenza, Agenzia delle entrate-Riscossione ha

messo in campo una serie di iniziative sul territorio per garantire adeguata assistenza ai contribuenti. Nella giornata di sabato 27 aprile, dalle ore 8.15 alle 13.15, saranno aperti in via straordinaria gli sportelli dell’Agenzia di Riscossione presenti nei capoluoghi di provincia e in alcuni altri comuni (l’elenco è consultabile sul sito www.agenziaentrateriscossione.gov.it), con esclusione delle operazioni di cassa.
Le domande via Internet
Per presentare la domanda non è comunque necessario andare allo sportello, ma si possono utilizzare anche i canali online presenti sul sito internet di Agenzia delle entrate-Riscossione, con la possibilità di verificare, in modo semplice e veloce, le cartelle che si possono «rottamare» e di inviare le istanze di adesione in qualsiasi momento, inclusi i giorni festivi.

Grazie ai servizi online di Agenzia delle entrate-Riscossione, da cui finora è arrivato circa il 50% delle richieste, è possibile presentare la domanda fino alla tarda serata del 30 aprile, quindi anche dopo l’orario di chiusura degli sportelli.

Due gorilla si mettono in posa per un selfie con la guardia antibracconaggio, la foto è virale

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lastampa.it
FULVIO CERUTTI


Foto di Mathieu Shamavu tratta dal profilo Facebook The Elite AntiPoaching Units And Combat Trackers.

«Un altro giorno in ufficio». Una frase normale per la maggior parte della gente, ma straordinaria per chi l’ha scritta e per il selfie che ha realizzato. Lui è Mathieu Shamavu, uno dei ranger anti-bracconaggio che operano nel Virunga National Park in Congo. Dunque giù un lavoro molto speciale.

Ma è lo scatto realizzato che ha attirato l’attenzione di social network e media internazionali: dietro di lui, infatti, sono stati immortalati i due gorilla Ndakasi e Matabishi . E non propriamente uno scatto rubato, anzi: i due primati sembrano proprio mettersi in posa dietro di lui, eretti su due zampe con lo sguardo dritto verso il cellulare. Insomma, manca solo un sorriso per rendere lo scatto perfetto.

Un selfie divertente che è diventato virale sui social network, ma che non deve far dimenticare quanto importante e pericoloso è il lavoro che i ranger come Mathieu Shamavu svolgono quotidianamente per proteggere i gorilla dal bracconaggio: sono quasi 600 gli uomini a salvaguardia dei gorilla nell’immensa area e di questi 179 sono rimasti vittima di attacchi armati.

«Questi uomini e donne seguono un addestramento intensivo, rischiando la vita quotidianamente per salvaguardare la fauna eccezionale del parco, incluso l’ultimo gorilla di montagna in pericolo di estinzione», si legge nel sito web.

Sei mesi di duro lavoro per diventare guardiani del parco. Personale proveniente per lo più da villaggi congolesi, persone che credono nella tutela del loro patrimonio naturale, ma che hanno così come ricorda lo stesso Mathieu rispondendo alle tante persone che commentano la foto.

Le 11 truffe online più sofisticate in giro in questo momento. Occhio a non cascarci!

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repubblica.it
Emma Witman

  • Le truffe online approfittano dell’empatia, della paura e dell’avidità degli utenti di Internet.
  • Alcune truffe su Internet, come il phishing e la temuta email “principe nigeriano”, esistono da decenni, ma stanno diventando sempre più sofisticate.
  • Abbiamo elencato 11 delle più grandi truffe presenti oggi su internet.
Via via che Internet continua ad espandersi in ogni aspetto della società, le truffe online stanno anch’esse diventando più sofisticate. Dalle truffe di phishing ai falsi venditori di biglietti, le truffe online si aggrappano a sentimenti diversi che ci guidano, come la simpatia, la paura e l’avidità.

Quello che le truffe online hanno in comune è che approfittano dell’ingenuità e dell’ignoranza del loro pubblico. Alcune delle truffe più elaborate che sono in giro per tutto il world wide web in questo momento, vanno dalla prima pagina di YouTube alla tua casella di posta.

Ecco alcune delle truffe online più sofisticate su Internet.
Il phishing ha gravi conseguenze per le vittime

AP/Kantele Franko
Una delle truffe online più diffuse è il phishing. Nel 2016, a seconda di chi si interpella sull’argomento, il phishing ha persino fatto deragliare la candidatura presidenziale di Hillary Clinton e, come minimo ha rivelato la deliziosa ricetta del suo manager di campagna elettorale per un risotto cremoso.

Il phishing, quando ha successo, induce l’utente a consegnare inconsapevolmente le proprie password al truffatore, spesso attraverso email dall’aspetto professionale che fingono di provenire da aziende affidabili. Il risultato del giochino è generalmente l‘acquisizione di informazioni personali, come i numeri di carta di credito e dei documenti.

Secondo il gruppo di lavoro anti-phishing, ogni mese vengono segnalati circa 100.000 tentativi di phishing. Recentemente, il phishing è stato usato come un’arma per diversi gradi di sofisticazione con una tecnica chiave:furto d’identità.

Il trucco è stato sufficiente per convincere un dipendente di Gimlet Media, che gestisce il podcast su tutto ciò che riguarda internet “Rispondi a tutti”, ad aprire un’email inviata da un suo “collega”. Peccato che il mittente non era un suo collega, ma un hacker che tentava un test di phishing autorizzato sui dipendenti della società.

Il furto d’identità è una tattica online per la quale bisogna essere particolarmente cauti sui social media, dove le immagini e gli pseudonimi degli amici sono a portata di mano per essere imitati. Gli account duplicatipescano informazioni personali dietro la maschera della familiarità.
La truffa del principe nigeriano è uno dei tranelli più vecchi su internet.

Wikimedia Commons

La truffa del principe nigeriano è una delle più vecchie truffe su internet. La truffa venne alla ribalta negli anni ’90 ed è indicata dall’FBI come “Frode nigeriana” o “419”. La premessa è semplice: ricevi un’email e, all’interno del messaggio, un principe nigeriano (o investitore o funzionario governativo) ti offre l’opportunità di lucrosi guadagni finanziari.

La trappola? Pagare una piccola parte dell’importo in anticipo o consegnare le informazioni sul conto bancarioe altre informazioni identificative in modo che il trasferimento possa essere effettuato. Ovviamente, perdi quel “denaro iniziale”, non ricevendo mai neanche una

monetina in cambio. Secondo un articolo su Wired del 2018, la cospirazione è cresciuta in termini di sofisticazione, risultando in milioni di dollari in truffe e in uno status di quasi celebrità per coloro che costruiscono le truffe delle email “nigeriane” che commettono la frode.

“Sono il malware e il phishing combinati con un’ingegneria social intelligente e acquisizioni di account”, ha dichiarato James Bettke, ricercatore presso la società di sicurezza Secureworks, al giornalista di Wired Lily Hay Newman nel 2018.

“Non sono molto sofisticati dal punto di vista tecnico, non sanno programmare, non usano molta automazione “, ha aggiunto. “Ma i loro punti di forza sono l’ingegneria social e la creazione di truffe agili: passano mesi a setacciare le caselle di posta, sono silenziosi e metodici.”
Le frodi sui biglietti portano all’acquisto di biglietti falsi per eventi di sport e musica.

AP/David J. Phillip
Un’altra popolare truffa online è la frode sui biglietti, in cui i consumatori sono indotti a comprare biglietti falsiper eventi sportivi, concerti e altri eventi.

Gli scammer di solito puntano a eventi di alto profilo i cui biglietti probabilmente vanno esauriti in modo che possano trarre vantaggio dall’aumento della domanda. Spesso i biglietti che inviano ai clienti hanno codici a barre contraffatti o sono copie duplicate di biglietti legittimi.

Altre volte, i consumatori non riceveranno alcun biglietto dopo aver pagato. Più del 10% dei millennial sono stati vittime di frodi sui biglietti e il Better Business Bureau raccomanda ai clienti di prendere diverse precauzioni prima di acquistare i biglietti online.
Alcune persone sono state contattate via messaggio da imitatori di celebrità

Philip DeFranco. Screenshot / YouTube

Una variante della truffa di phishing è quando i truffatori online si mascherano da celebrità e influencer. A gennaio, la star di YouTube Philip DeFranco ha dovuto avvisare i suoi oltre 6 milioni di abbonati di una di queste truffe.

“Se hai ricevuto un messaggio da me o da qualsiasi altro artista su YouTube che assomiglia a qualcosa del genere, è molto probabile che qualcuno cerchi di imbrogliarti”, ha detto DeFranco in un video pubblicato sul suo canale.

Il finto DeFranco si è infilato nei messaggi di YouTube di utenti-target, promettendo “regali” se avessero cliccato su un collegamento ipertestuale. Il vero scopo del truffatore: il furto di identità per guadagni finanziari attraverso un classico sistema di phishing online.

Più di 150 utenti di YouTube nella pagina della community hanno dichiarato di essere caduti nella trappola.

“Siamo consapevoli e abbiamo avviato l’implementazione di ulteriori misure per combattere il furto d’identità”, ha scritto un dipendente di YouTube in risposta a reclami di truffa. “Nel frattempo, abbiamo rimosso account identificati come spam.” La società ha anche detto che gli utenti potrebbero bloccare qualsiasi account che li copre di spam e che i canali che lo fanno, possono essere segnalati attraverso il suo strumento di segnalazione.
Altre volte, le persone si sentono truffate dai veri influencer

Un video promozionale per il Fyre Festival. Scribd/NickBilton
Una cosa è essere ingannati da una celebrità finta. Ma c’è anche una tendenza a sentirsi truffati dagli influencernella vita reale. Un thread virale su Twitter ha accusato l’influencer di Instagram Caroline Calloway di usare la sua immagine online per truffare quelli che avevano pagato $ 165 per partecipare al suo “laboratorio di creatività”.

E folle inferocite per il fiasco che è stato il Fyre Festival – un evento talmente riuscito male da giustificare che non uno, ma due documentari su di esso – hanno diretto gran parte della loro ira contro gli influencer e celebrityche avevo sponsorizzato l’evento.

I truffati hanno criticato la mancanza di trasparenza su quanto gli influencer sono stati pagati per sponsorizzare il festival con i loro milioni di follower online, anche se non tutti hanno concordato sul fatto che meritassero di essere incolpati.

Ma a volte gli stessi influencer possono essere truffati

Una truffatrice che si è finta Wendi Murdoch ingannando influencer di social media e i fotografi e convincendoli a consegnarle denaro. Dia Dipasupil / Getty
Un genere di truffa online ha come vittime gli stessi influencer, e usa tattiche di frode identiche al phishing. All’inizio di quest’anno, una truffatrice nelle vesti dell’imprenditrice e investitrice Wendi Murdoch, ha utilizzato indirizzi di posta elettronica e altre tecniche così convincenti che star dei social media sono state indotte a comprare i propri voli per l’Indonesia e a pagare per falsi permessi di fotografia come parte della truffa.

Le vittime, tra cui influencer e fotografi di viaggio, sono stati derubati di migliaia di dollari. L’FBI e il Dipartimento di polizia di New York hanno aperto le indagini sulla truffa nel 2018, secondo The Hollywood Reporter. Partecipa anche l’azienda investigativa K2 Intelligence, che ha tracciato il perno della truffa dalle celebrità agli influencer.

“Per molto tempo hanno perseguitato persone a Hollywood. [Ora, loro] prendono di mira regolarmente influencer – star di Instagram, fotografi di viaggio, persone che fanno cose che li portano a viaggiare in tutto il mondo”, ha detto a INSIDER a gennaio Nicoletta Kotsianas, una direttrice di K2 Intelligence.

“Si tratta di convincere alcune persone che esiste qualcun altro, manipolarle, farle sentire coinvolte e creare un mondo tutto intorno a loro”, ha aggiunto. “Stanno facendo un po’ di soldi, ma quello che davvero conta è il processo che hanno intrapreso.”

Un attacco Ransomware ha tenuto in ostaggio un’intera città nel 2018

Uno screenshot mostra una richiesta di ransomware WannaCry, fornita dalla società di sicurezza informatica Symantec. Thomson Reuters

Alcune delle truffe online più insidiose riguardano il ransomware.

In un attacco ransomware, gli hacker installano malware su un computer o su un sistema di computer che limita l’accesso di una vittima ai loro file. Il pagamento di un riscatto, spesso sotto forma di bitcoin, è richiesto per annullarlo.Il governo di Atlanta è stato colpito da un attacco di ransomware nel 2018 e, secondo un rapporto Wired, è costato alla città più di $ 2,6 milioni.

Gli hacker dietro la truffa “si sono impegnati deliberatamente in un’estrema forma di ricatto digitaledel 21° secolo, attaccando ed estorcendo denaro a vittime vulnerabili come ospedali e scuole, vittime che sapevano sarebbero state disposte e in grado di pagare”, ha detto a novembre Brian Benczkowski, il capo della divisione criminale del Dipartimento di Giustizia.

Non c’è da meravigliarsi che la minacciosa forma di attacco sia diventata parte della trama di “Grey’s Anatomy”.
Le trappole ransomware false possono essere altrettanto dannose

REUTERS/Sarah Conard
Nel peggiore dei casi, le frodi ransomware minano il senso di sicurezza e privacy della vittima.

E in una terrificante variante, gli hacker rivendicano via email di aver hackerato una webcam mentre la vittima guardava un film porno.L’annuncio di cam-hacking, che è sostenuto dalla ripetizione della password dell’utente nell’email, è un mezzo per ricattare: inviaci bitcoin o inviamo il filmato a tutti i tuoi contatti.

La realtà? Manipolazione pura. I truffatori non hanno dossier di filmati. Non hanno nemmeno mai violato le tue informazioni. Come? Perché la password che si sono vantati di avere non è stata hackerata, ma raccolta, presa da database disponibili pubblicamente di password e email trapelate. Quindi non c’è bisogno di coprire la fotocamera del portatile. Per adesso.
I fake di crowdsourcing tipo GoFoundMe sfruttano la generosità delle persone

Una foto di tre persone coinvolte in una truffa su GoFundMe viene mostrata in una conferenza stampa. AP / Seth Wenig
Un altro elemento in crescita online è la falsificazione di casi GoFundMe.

Un esempio degno di nota viene da una bella storia del 2017 su una coppia che ha raccolto $ 400.000 per un veterano senzatetto che gli aveva prestato i suoi ultimi $ 20. Come hanno scoperto i pubblici ministeri, il trio ha inventato l’intera storia, e non solo hanno affrontato un misto di accuse federali e statali, ma GoFundMe ha rimborsato le donazioni di tutti i 14.000 donatori.

Un altro esempio di storytelling strategico nell‘arte di usare il crowdsourcing per truffe: una studentessa universitaria nera che ha raccolto denaro dai repubblicani su GoFundMe dopo aver affermato che i suoi genitori l’hanno rinnegata per aver sostenuto Trump.

La narrazione era sospettosamente convincente – perché era una bufala. Sebbene abbia rapidamente restituito i soldi che ha raccolto, ha anche mostrato con quanta facilità puoi sfruttare la generosità delle persone.
Truffe di P&D ovvero ‘Pump and Dump’ servono a gonfiare artificialmente il valore di una valuta

David Ryder/Stringer
La criptovaluta è spesso la forma di pagamento nelle truffe online, ma in una truffa, la cripto stessa è la frode.

Le truffe di investimento sono sempre state destinate a prosperare online. Usando il web verso un target di massa di potenziali investitori, un truffatore può commettere quello che è categoricamente vietato dalla Securities and Exchange Commission, ovvero “pompare“artificialmente il valore delle azioni agli occhi delle masse per poi “far crollare” il valore delle azioni su un rendimento falsamente inflazionato.

Secondo The Outline, migliaia di persone si ritrovano online su app come Discord e complottano per “pompare e scaricare” criptovalute (note come “shitcoins” e “scamcoin” a quelli ingannati dallo stratagemma):
“[L’] ethos è semplice: compra a poco, rivendi a tanto.

L’implicazione è che gli investitori al di fuori del gruppo P&D vedranno il rapido aumento del prezzo e avranno fretta di acquistare, ansiosi di non lasciarsi scappare la prossima corsa all’oro in stile Bitcoin”, ha scritto Paris Martineau di The Outline.
E le notizie-bufala possono alimentare il problema

Il cofondatore di Ethereum Vitalik Buterin. Getty Images / John Phillips

La manipolazione online si spinge anche oltre. Secondo Buzzfeed, diffondere notizie false online è una delle tattiche “pump” usate dai truffatori per derubare gli sprovveduti in quella foresta del tutto non regolamentata che è la criptovaluta.

“Ci sono molti gruppi che si sono concentrati sulla disinformazione”, ha detto Laz Alberto, un investitore di criptovalute ed editore della newsletter Blockchain Report, ai giornalisti di BuzzFeed Ryan Mac e Jane Lytvynenko nel 2018. “Ovviamente è illegale, ma non c’è alcuna regolamentazione e quindi hanno potuto farlo indisturbati.”

Un fondatore di criptovalute è stato anche lui stesso obiettivo di una notizia falsa nel 2017, quando si diffuse la notizia che Vitalik Buterin, cofondatore della criptovaluta Ethereum, era morto in un incidente automobilistico. Le false notizie sulla morte di Buterin fecero crollare nel mercato la valutazione di Ethereum – e in seguito rimbalzò in alto, quando il vivissimo Buterin in carne ed ossa sfatò la voce.

Perché Salvini non celebra Liberazione e Resistenza

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risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,

le celebrazioni del 25 aprile durante la Prima Repubblica rappresentavano un momento unitario di tutte le componenti politiche, sociali e culturali. Gruppi di estrema sinistra contestavano gli oratori, ma nessuno criticava il dovere di ricordare la Liberazione. Con la Seconda Repubblica si è cercato, da parte di alcune correnti di destra, di presentarla come divisiva evidenziando la
necessità di superarla.

Ora Salvini e i ministri leghisti hanno annunciato che diserteranno le manifestazioni del 25 aprile, cercando di delegittimarne il valore istituzionale. Evidentemente i sovranisti non considerano rilevante ricordare alcuni fondamentali avvenimenti storici che sono alla base della nostra democrazia.
Bruno Cassinari




Caro Bruno,
All’evidenza Salvini considera il 25 aprile una «cosa di sinistra» e non sa o non vuole sapere nulla del colonnello Montezemolo, del generale Raffaele Cadorna, di Edgardo Sogno, dei sacerdoti che si fecero uccidere insieme o al posto dei loro fedeli, dei carabinieri trucidati alle Ardeatine, dei 600 mila internati militari in Germania che

scelsero di restare nei lager piuttosto che andare a Salò a combattere altri italiani. Oppure Salvini sa che il suo elettorato di riferimento considera il 25 aprile una «cosa di sinistra» e non sa o non vuole sapere nulla del colonnello Montezemolo e di tutti gli altri.

Le due ipotesi non sono in contraddizione. Forse sono vere entrambe. La seconda è probabilmente la più importante. Il fatto che la sinistra tenda a monopolizzare la memoria della Resistenza è sbagliato; ma un vicepremier che rifiuta di commemorare la Liberazione — dovuta in primo luogo agli eserciti angloamericani, ma anche agli italiani che

nelle varie forme dissero no al nazifascismo — finisce per rinfocolare una disputa ideologica che non avrebbe ragione di essere. Perché a dire no al nazifascismo furono donne e uomini di ogni fede politica, compresi molti che erano stati fascisti fino al 25 luglio.

Non credo alla memoria condivisa. Di memoria ognuno ha la propria, e non la può cambiare. Ma i valori dell’antifascismo, della libertà, della democrazia dovrebbero essere considerati una precondizione comune a tutti. Un tempo era così, con l’eccezione del Movimento sociale. Ora non lo è più; ed è molto triste

Milano, lo strano caso del ricorso perso per il chiasso dei Navigli

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MICHELE SASSO

Una residente fa causa al Comune Milano per la movida notturna nella zona della Darsena ma i giudici le danno torto


La Darsena di Milano dopo la riqualificazione

La movida notturna che aggrega migliaia di cittadini e turisti. La pedonalizzazione delle vie che corrono lungo i navigli di Milano. E poi il restyling della Darsena di Milano, arrivato in occasione dell’Expo 2015, che sancisce la rinascita di una porzione di città abbandonata al degrado e all’incuria.

Tutto questo ha un risvolto problematico per i residenti che si lamentano del traffico e del rumore incessante. Un problema noto e mai affrontato tra la tutela della qualità della vita e la vita delle attività commerciali con il loro giro d’affari.

Una donna che viveva proprio davanti alla Darsena, dove confluiscono i Navigli, e poi ha cambiato casa, ha deciso di portare il Comune di Milano davanti ai giudici del Tar della Lombardia, contestando una serie di delibere di riqualificazione dell’area che, a suo dire, avrebbero aggravato «tale situazione di disagio». Ma il tribunale amministrativo le ha dato torto.

Quattro ricorsi presentati perché la zona dei Navigli di Milano è diventata «un luogo di ritrovo serale» e notturno per giovani «invivibile» per i residenti sia per gli «schiamazzi» e la musica ad alto volume che per i «rifiuti abbandonati», come bicchieri rotti, nelle strade e la «viabilità» compromessa.

La quarta sezione del Tar milanese, presieduta da Angelo Gabbricci, ha però dichiarato «inammissibili» i quattro ricorsi presentati dalla donna contro altrettante delibere comunali, approvate tra il 2017 e il 2018, ma l’ha anche condannata a versare all’amministrazione comunale 4mila euro di spese legali.

Uno dei ricorsi riguardava, ad esempio, una piattaforma galleggiante collocata nel bacino d’acqua artificiale della Darsena in vista dell’Expo del 2015 e poi mantenuta anche dopo. Su questo punto i giudici, però, non hanno ravvisato danni per il «diritto alla salute e al riposo notturno» della residente che «non ha saputo individuare un nesso diretto tra la piattaforma nella Darsena e le ulteriori attività»
anche commerciali svolte in quel luogo, «da cui è

comunque esclusa la somministrazione, anche notturna, di cibi e bevande». E allo stesso modo per il Tar altre linee guida dettate dal Comune su quell’area escludono «un possibile significativo pregiudizio per i diritti» della donna «e comunque non sono in alcun modo riconducibili alle situazioni di disagio da questa lamentate».

I giudici, tra l’altro, fanno notare che la donna, mentre era in corso il procedimento, tra un’udienza e l’altra, è andata ad abitare in un altro quartiere della città e, dunque, anche sotto questo profilo, quello della «improcedibilità», sono stati bocciati i suoi ricorsi.

Addio a Jacqui: sfigurata dopo un incidente, fu volto della campagna sulla guida in stato di ebbrezza

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di Annalisa Grandi

Jacqui Saburido era rimasta sfigurata dopo un incidente d'auto, la sua auto travolta da un giovane ubriaco. Si era sottoposta a oltre 100 interventi chirurgici. Aveva 40 anni

Addio a Jacqui: sfigurata dopo un incidente, fu volto della campagna sulla guida in stato di ebbrezza

Il suo volto, sfigurato dopo un incidente d'auto, era diventato il simbolo dei rischi della guida in stato di ebbrezza. É morta a 40 anni Jacqui Saburido: nel 1999 quando ne aveva 20 era rimasta coinvolta in un incidente stradale in cui aveva riportato ustioni sul 60% del corpo.

Jacqui, cresciuta a Caracas, Venezuela, è morta in Guatemala, era malata di cancro. Il suo nome e il suo volto erano diventati famosi in tutto il mondo: vent'anni fa stava tornando da una festa di compleanno a Austin in Texas insieme ad altri quattro amici quando un'auto, che viaggiava sulla corsia opposta, si era scontrata con la loro.
 
Due suoi amici erano morti sul colpo, la macchina aveva preso fuoco e lei, che sedeva davanti, aveva riportato ustioni sul 60% del corpo. Il ragazzo alla guida, un 18enne, era ubriaco: era stato condannato a sette anni di carcere e rilasciato nel 2008.

Jacqui Saburido era stata sottoposta a oltre 100 operazioni per ricostruire parte del volto e delle mani. Al momento dello schianto si trovava negli Usa da meno di un mese e non aveva assicurazione medica. Gli interventi a cui si era sottoposta erano costati oltre 5 milioni di dollari.

Jacqueline, questo il suo nome per esteso, era diventata il volto della campagna del dipartimento dei Trasporti del Texas «Faces of Drunk Driving». Andava nelle scuole a raccontare la sua storia, era stata anche in televisione.

«Anche se significa mettersi davanti a una telecamera senza naso, senza capelli, senza orecchie, lo farò centinaia di volte se questo può aiutare qualcun altro a prendere una decisione giusta» ripeteva sempre «È parte della mia missione sulla Terra, se questa faccia e questo corpo possono aiutare gli altri, perché no?».

Lgbt, decalogo del coming out sul lavoro, ovvero consigli per non sbagliare quando si rivela la propria sessualità in azienda

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Business Insider Italia


Manifestazione associazione Arcigay fuori dall'Hotel Eden di Roma, 14 aprile 2019 - TIZIANA FABI/AFP/Getty Images
I diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (Lgbt) rappresentano, in Italia, un terreno su cui lavorare ancora parecchio prima di mettersi in pari con altri paesi. Anche per questo motivo non sempre è facile vivere con serenità e libertà la propria sessualità all’interno del luogo di lavoro.

Roberto D’Incau, esperto di diversità e inclusione e fondatore della società di cacciatori di teste (head hunting) Lang & Partners, ha stilato il decalogo del coming out, ossia della rivelazione della propria sessualità, in azienda e sul luogo di lavoro:
1) Annusa il clima aziendale
Sul luogo di lavoro, si domanda D’Incau, “sono permesse battute sgradevoli e barzellette discriminatorie?” Se sì, “allora fai attenzione: è un’azienda poco attenta a questi temi, meglio stare schisci”.
2) Policy anti discriminazioni
“Capisci se la tua azienda ha una policy esplicita anti discriminazioni: ad esempio quasi 60 aziende, tra cui Lang & Partners, aderiscono a Parks”, un’associazione che ha tra i suoi soci esclusivamente datori di lavoro creata per aiutare le aziende socie a comprendere e realizzare al massimo le potenzialità di business legate allo sviluppo di strategie e buone pratiche rispettose della diversità. “Certamente, tutte queste sono aziende dove non sarai discriminato, perché al contrario valorizzano la diversity”, mette in guardia D’Incau.
3) Persona alleata
“Una volta deciso di fare coming out, scegli una persona che sia gay o alleata, quindi gay friendly, per rompere il ghiaccio e cominciare a discutere” dell’eventualità di dichiarare in azienda il proprio orientamento sessuale.
4) Parola d’ordine: pianificare
“Pianifica bene – consiglia l’esperto – a chi dirlo, come, e quando: lasciare le cose al caso rende il tutto più stressante”.
5) Cerca un appiglio
“Puoi prendere spunto da una news o un fatto di cronaca: ad esempio il gay pride in corso, o un altro fatto da usare come ‘appiglio'”.
6) Meglio ‘one to one’
“Le prime persone a cui parlarne – consiglia D’Incau – sono i colleghi diretti e il proprio capo: sono le persone con cui si passa più tempo e con cui è più opportuno creare un rapporto franco e diretto. Parlane ‘one to one’, perché è più facile parlare a una persona che a un gruppo”.
7) Less is more, meno è di più
“Non appesantirla troppo: cerca di renderla una cosa naturale, come in effetti è. Basta dire una frase del titpo: ‘Questo weekend sono stato al lago col mio compagno’. Less is more, come spesso accade”.
8) Naturalezza
“È importante fare coming out quando si è pronti (mai ahimè al 100%, un po’ di stress c’è sempre), quando si ha acquisito una certa naturalezza sul tema”.
9) Nervosismo
“Sarà normale sentirsi un po’ nervosi, soprattutto se non lo si è mai fatto prima, per qualche buona ragione. Sarai però stupito dalla naturalezza con cui verrà recepito il tuo discorso. Non tutti apprezzeranno, forse, ma come sempre non si può avere l’approvazione di tutti”.
10) La legge ti tutela
“Ricordati, infine – sottolinea D’Incau – che se le cose dovessero andare veramente male, e tu dovessi essere discriminato per il tuo orientamento sessuale, la legge italiana ti tutela pienamente”. In quel caso, quindi, “non tacere, parlane con un avvocato o con una associazione che ti aiuterà a tutelare i tuoi diritti”.

Grazia per Roberto Formigoni", al via la raccolta delle firme

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"Grazia per Roberto Formigoni", al via la raccolta delle firmeRoberto Formigoni

Al momento hanno aderito 3.500 persone. E su Facebook è stata aperta anche la pagina 'Roberto Formigoni libero'
Una raccolta di firme per chiedere la grazia per Roberto Formigoni, l'ex governatore lombardo che da fine febbraio sta scontando nel carcere di Bollate una condanna per
corruzione.

A organizzare la raccolta di firme è stato l'imprenditore Angelo Cenicola, amico personale di Formigoni: al momento è stata quasi raggiunta quota 3.500. E su Facebook è stata aperta anche la pagina 'Roberto Formigoni libero'.

L'ex governatore è finito in carcere, nonostante i suoi 71 anni, per effetto della legge 'spazzacorrotti' che non prevede pene alternative al carcere per i reati contro la pubblica amministrazione. Gli avvocati di Formigoni hanno presentato la richiesta di convertire il carcere con i domiciliari, ma la richiesta è stata respinta.

Francesco Chiricozzi, sui social la locandina fascista: «Pamela e Desirée potrebbero essere vostre sorelle»

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di Rinaldo Frignani

Post razzisti, il motto delle SS, ma anche commenti contro le giovani di sinistra, il Papa e la Chiesa. Il profilo del 19enne esponente di CasaPound arrestato

Francesco Chiricozzi (Proto)Francesco Chiricozzi (Proto)

Riprendendo il manifesto della propaganda fascista, della Repubblica di Salò, del 1944 contro il “negro” invasore e stupratore (disegnato dal grafico del Regime Gino Boccasile, fra i firmatari delle Leggi razziali) - un soldato marocchino del Corpo di spedizione francese che aggredisce una ragazza (come peraltro avvenne più voltre nelle zone del basso Lazio proprio in quell’anno) - Francesco Chiricozzi aveva postato mesi fa su Twitter un messaggio che ora, alla luce del suo arresto per violenza sessuale, suona per lui come una beffa.



«Difendila! Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia», c’era scritto sul manifesto originale, al centro di polemiche anche un paio d’anni fa perché utilizzato anche da Forza Nuova. «La prossima Pamela, la prossima Desireé, potrebbe essere tua figlia, tua moglie o tua sorella», aveva invece postato l’ormai ex consigliere comunale di Vallerano nelle fila di CasaPound, dopo essere stato espulso con l’altro giovane arrestato Marco Licci (19) dalla direzione del partito di estrema destra.
«Chiricozzi1919»
Diciannove anni, nick name Chiricozzi1919, il più piccolo dei due giovani accusati di aver violentato una 36enne dopo averla fatta ubriacare e averla picchiata in un circolo privato di Viterbo la notte del 12 aprile scorso, aveva come motto sui social anche “il mio onore si chiama fedeltà”, ovvero quello delle SS. Con tanto di dedica a “capitan Priebke”, il boia delle Ardeatine, con il più classico dei “Sieg Heil!”.

Da Vallerano, dove Cpi ha ottenuto ben il 20 per cento dei voti alle Comunali 2018, Chiricozzi postava anche selfie su un pullman dove c’era una straniera sui sedili con il commento razzista “trova l’intruso”. E ancora commenti contro le giovani di sinistra, messaggi contro Papa e Chiesa, e lo Ius Soli. Su Instagram l’ultimo post è del 12 aprile, il giorno dello stupro di cui è accusato: “Anni divorati dalle nostre notti punk”, c’è ancora scritto.
La Rete contro
A chi gli faceva notare che tutte le donne vanno difese, anche se non parenti oppure se aggredite solo dagli stranieri, lui rispondeva che »secondo le statistiche nazionali l’8% della Nazione, ovvero gli stranieri, commette il 42% dei reati sessuali. Perciò seguendo una linea logica, lo straniero stupra, violenta di più rispetto a un italiano». Molti adesso i messaggi sulla Rete contro il 21enne, e non mancano proprio quelli di ragazzi e ragazze di estrema destra, oltre che dai collettivi studenteschi e dai centri sociali.

Sempre più droni sugli aeroporti: arrivano a 15 metri dai jet in decollo

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di Leonard Berberi - lberberi@corriere.it

Il dossier dell’Agenzia per la sicurezza del volo: 60 casi nel 2018, +230% sul 2015. I pericoli per gli aerei. In Italia sono 11.647 quelli autorizzati a volare

Sempre più droni sugli aeroporti: arrivano a 15 metri dai jet in decollo

Le immagini sono spettacolari. Ecco un Embraer di Alitalia sfrecciare a circa cento metri di distanza subito dopo esser decollato dalla pista di Linate. Quindi un Airbus di easyJet e un altro di Brussels Airlines più vicini, tanto che la fotocamera non può evitare di registrare la turbolenza. Di video così questo 17enne della provincia di Milano che si fa chiamare Matteo ne ha diversi.

Tutti girati dal suo drone dalle parti di Novegro (a nord di Linate), ben custoditi nel telefonino, inviati via WhatsApp agli amici, ma non pubblicati online: perché quei filmati Matteo non avrebbe dovuto girarli così vicino, circa 400 metri, meno dei 5 chilometri stabiliti. Ce n’è uno del 25 maggio 2018. E chissà che non sia suo l’oggetto segnalato dal pilota di un Airbus A320 partito da Linate alle autorità italiane.

Uno dei 60 avvistamenti dell’anno passato, calcola l’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (Ansv) che nel Rapporto informativo sottolinea un aumento di questi approcci del 30,4% sul 2017 e del 233,3% rispetto al 2015. Roma, Milano e Napoli sono le aree più critiche. In qualche caso il drone è passato a 15 metri dal velivolo.
Le segnalazioni
Approcci, denuncia l’Ansv, dovuti alla «sostanziale inosservanza della normativa vigente in materia». E anche senza conseguenze legali: «Non è stato possibile acquisire dati utili per un adeguato approfondimento degli interventi di interferenza — si legge — per l’impossibilità di individuare l’operatore del drone».

Certo, in Italia non è ancora successa una cosa simile a quella di Londra Gatwick dove l’avvistamento di alcuni di questi apparecchi ha portato al blocco dell’aeroporto tra il 19 e il 21 dicembre 2018 con un impatto su 140 mila viaggiatori e costi extra per la sola easyJet di 17 milioni di euro. Ma quest’anno per due volte — il 3 marzo e il 1° aprile — i droni hanno portato allo stop temporaneo di Malpensa, in provincia di Varese.
I rischi
Per capire la pericolosità di un eventuale impatto i ricercatori dell’Università di Dayton hanno ricreato lo scontro tra un comune drone da un chilo e un aereo lanciato a 400 chilometri orari. Risultato: una parte importante dell’ala è andata in pezzi, quel che restava dell’aggeggio invece è rimasto incastrato, con il rischio ulteriore di un incendio delle batterie agli ioni di litio.

I gestori degli aeroporti sono preoccupati. Le compagnie aeree pure. E proprio il tema droni è stato tra i più discussi lo scorso marzo a Madrid al congresso mondiale del controllo del traffico aereo. Scali e vettori chiedono contromisure.

Un modo per tenere alla larga gli «aeromobili a pilotaggio remoto», a vedere le proposte tra gli stand, è quello di ricorrere a sistemi radar più sofisticati in grado di individuare anche i segnali più piccoli. Oppure a una rete che disturba o neutralizza le frequenze radio.
Le nuove regole
«Nel 2022 ci aspettiamo 45 milioni di droni nei cieli del mondo, un quarto di questi in Europa», stima Henrik Hololei, numero uno della direzione generale per la Mobilità e il trasporto dell’Ue. Hololei ricorda che «siamo nella fase finale per la messa a punto delle regole sull’uso di questi oggetti e ci aspettiamo che vengano adottate nel più breve tempo possibile dai Paesi membri».

L’Ente nazionale per l’aviazione civile conferma che il nuovo regime entrerà in vigore nel 2020. A oggi, secondo Enac, devono essere registrati i droni «utilizzati per motivi professionali», ma «a breve si prevede anche di quelli usati per scopi ricreativi o sportivi». Negli elenchi ufficiali di operatori autorizzati in Italia se ne contano 11.647. Poi ci sono tutti quelli, sconosciuti, che li usano per motivi personali. Come Matteo.

Partigiano, un patriota che ha restituito l’onore all’Italia

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di Paolo Fallai

Letteralmente significa «di parte». Perché festeggiamo il 25 aprile e non il 3 maggio giorno in cui per il nostro paese, si concluse la seconda guerra mondiale

Partigiano, un patriota che ha restituito l’onore all’ItaliaIl partigiano Luigi Tarzia e il suo gruppo sulle montagne del Lovere, nel bergamasco

Storia complessa quella di alcune parole che vivono un significato nobile e diventano paradigmi positivi eppure ne conservano sfumature di tutt’altro tenore. Una di queste è partigiano.
Protagonista di una scelta
Letteralmente significa «di parte», ovvero persona schierata con una delle parti in causa. Nella nostra storia «partigiani» sono stati i protagonisti della Resistenza contro il nazifascismo e in particolare contro le truppe tedesche di occupazione e i fascisti della Repubblica di Salò. In generale con partigiani si identificano coloro che si sono ribellati nei paesi occupati dalle truppe dell’Asse durante la seconda guerra mondiale.
Una guerra di popolo
Un partigiano quindi è un combattente armato ma non è un soldato. Infatti non appartiene ad un esercito regolare ma ad un movimento di resistenza e che solitamente si organizza in bande o gruppi, per fronteggiare uno o più eserciti regolari, con l’aiuto determinante della popolazione civile. ingaggiando quella che viene definita una guerra asimmetrica. Così la «lotta partigiana» si intende una guerra di difesa di natura civile contro un’occupazione militare. Una forma di conflitto dichiarata legittima anche dall’ Assemblea Generale dell’ONU nel 1965.
La festa della Liberazione
Il 25 Aprile di ogni anno festeggiamo la Liberazione e in particolare celebriamo il giorno nel 1945 in cui il Comitato di liberazione nazionale dell’alta Italia proclamò l’insurrezione di tutti i partigiani contro gli occupanti nazifascisti. Cioè il giorno in cui abbiamo riconquistato la dignità che il fascismo aveva infangato con la dittatura, con le leggi razziali, con l’abolizione delle libertà civili.
La riconquista della dignità
In quel Comitato di liberazione c’erano esponenti politici molto diversi, cattolici, socialisti, comunisti, liberali. A tutti fu molto chiaro che l’interesse e la dignità del paese dovessero essere prevalenti rispetto a ogni egoismo politico. È lo stesso spirito che ci ha portato alla nascita della Repubblica italiana e al varo della Costituzione. Per questo non festeggiamo il 3 maggio, giorno in cui effettivamente si smise di combattere in Italia.
Un prezzo altissimo
Il numero dei caduti nella Resistenza italiana (in combattimento o eliminati dopo essere finiti nelle mani dei nazifascisti), è molto alto. Secondo studi accreditati, ripresi dall’Anpi (Associazione nazionale partigiani) sono stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati o invalidi.

Tra partigiani e soldati italiani caddero combattendo almeno 40 mila uomini (10.260 furono i militari della sola Divisione Acqui, caduti a Cefalonia e Corfù). Altri 40 mila IMI (Internati Militari Italiani), morirono nei Lager nazisti.

Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della Donna. 4.653 di loro furono arrestate e torturate, oltre 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate. 1.070 caddero in combattimento, 19 vennero, nel dopoguerra, decorate di Medaglia d’oro al valor militare.
L’orrore delle rappresaglie
Durante la Resistenza le vittime civili di rappresaglie nazifasciste furono oltre 10.000. Altrettanti gli ebrei italiani deportati; dei 2000 di loro rastrellati nel ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 e deportati in Germania se ne salvarono soltanto 11. Tra il 29 settembre 1943 e il 5 ottobre 1944 nella valle tra il Reno e il Setta (traMarzabotto, Grinzana e Monzuno), i soldati tedeschi massacrarono 7 partigiani e 771 civili e uccisero in quell’area 1.830 persone. Per quella strage soltanto nel gennaio del 2007 (dopo la scoperta dell’«armadio della vergogna» dove erano stati occultati i fascicoli) il Tribunale militare di La Spezia ha condannato all’ergastolo dieci ex SS naziste.
Il linguaggio non è mai neutrale
I partigiani sono patrioti che hanno combattuto per la libertà e per restituire l’onore ad un paese infangato dai crimini fascisti. Resta solo da accennare al fatto che chi vuole sottolineare la parte più ambigua di questa parola, cerca di spingere «partigiano» verso il significato di fazioso, settario, in generale non obiettivo.

Ma in questo chiaroscuro, quelle caratteristiche che vorrebbero sminuire il valore della parola, potrebbero essere parimenti rivendicate come virtù. E, in un prossimo futuro, i vocabolari potrebbero scegliere, come contrari di questa parola, indifferente o conformista, per disegnare l’assenza di passione e la scelta di non rischiare mai niente.

L’Onu approva la risoluzione contro lo stupro come “arma di guerra”

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Gli Stati Uniti incassano una vittoria in Consiglio di Sicurezza Onu dopo un duro braccio di ferro sulla violenza sessuale nei conflitti armati. L’organo delle Nazioni Unite ha approvato con 13 voti a favore e due astenuti (Russia e Cina) una risoluzione volta a combattere l’uso dello stupro come arma in guerra, su cui gli Usa avevano minacciato di

porre il veto perché nel testo era usato un linguaggio sull’assistenza alla «salute riproduttiva», che per estensione costituiva il sostegno all’aborto per le vittime. Nel nuovo testo ammorbidito è stato eliminato tale riferimento, come richiesto da Washington.

Il Consiglio di Sicurezza ha tenuto oggi una riunione sul tema con il segretario generale Antonio Guterres, i premi Nobel per la pace Nadia Murad e Denis Mutwege, e l’avvocata attivista Amal Clooney. La Germania, presidente di turno dei Quindici, ha lavorato duramente per far sì che la bozza venisse adottata durante l’incontro odierno,

cercando di superare l’opposizione americana. Peraltro, dalla risoluzione era già stata eliminata una parte importante, quella relativa all’istituzione di un nuovo meccanismo per monitorare e segnalare tali atrocità in guerra perché gli Usa, insieme a Russia e Cina, si erano dichiarati contrari.

«È inspiegabile che l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva non sia esplicitamente riconosciuto per le vittime di stupro, che sono spesso bersaglio di atroci atti di violenza e di mutilazioni barbariche», ha osservato l’ambasciatore francese all’Onu Francois Delattre dopo l’adozione della risoluzione.

Il segretario generale Guterres ha spiegato che «nonostante numerosi sforzi, la violenza sessuale continua ad essere una caratteristica orribile dei conflitti in tutto il mondo», e gruppi di attivisti hanno dimostrato che «è usata deliberatamente come arma di guerra». «Dobbiamo riconoscere che lo stupro in guerra colpisce in larga

misura le donne perché è collegato a questioni più ampie come la discriminazione di genere», ha proseguito, sottolineando che c’è «un’impunità diffusa» e la «maggior parte di questi crimini non viene denunciata, investigata o perseguita». Infine, ha incoraggiato il Consiglio di Sicurezza a «lavorare insieme per superare le differenze»: «la risposta globale deve garantire la punizione degli autori e il sostegno completo ai sopravvissuti».

Mentre per Amal Clooney, «sebbene la bozza sia un passo avanti, soprattutto nella misura in cui rafforza il regime di sanzioni per coloro che commettono tali crimini, bisogna andare oltre»: «Se questo organo non può prevenire la violenza sessuale in guerra, deve almeno punirla».

La giustizia «non può avere una possibilità se le persone al potere, tra cui quelle sedute intorno a questo tavolo, non ne fanno una priorità», ha continuato, ribadendo che «c’è un’epidemia di violenza sessuale e la giustizia è l’antidoto. È il momento di farla diventare la vostra priorità e onorare davvero sopravvissuti come Nadia Murad che hanno già sofferto troppo».

Viaggio nei santuari della «Santa Muerte» in Messico, il culto millenario che attira fedeli e narcotrafficanti

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di Guido Olimpio - Video di Alessandro Galassi

E’ arrivata nel nuovo mondo da quello vecchio con i missionari spagnoli ed è ritornata in voga negli anni ‘90-2000 quando ha fatto presa negli ambienti delle gang, tra piccoli e grandi padrini. E i santuari sono spuntati in tutto il Paese



Santa Muerte non esclude nessuno, non è severa, non giudica. Ecco perché riesce a fare proseliti in Messico, ma anche in molte regioni degli Stati Uniti a ridosso del confine.

Per questo, spiegano gli esperti, il «culto» dalle origini antiche ha successo, attira masse di fedeli. Tra questi tranquilli cittadini, ma anche criminali che l’hanno trasformata nella loro protettrice in un paese che solo nel 2018 ha visto oltre 31 mila omicidi.

La «santa» è arrivata nel nuovo mondo da quello vecchio, l’avrebbero portata i missionari spagnoli ai tempi della grande conquista, «offrendola» alle popolazioni locali che in epoca pre-colombiana credevano in una divinità simile, Mictecacihuatl.

Sparita poi per un periodo lunghissimo, la statuina con il teschio è riapparsa in modo significativo negli anni ‘90-2000. Così sono nati piccoli santuari, alcuni clandestini, altri sotto gli occhi di tutti, come a Tepito, area di Città del Messico.

Andrew Chesnut, autore di un libro sul tema, ha affermato che i seguaci potrebbero essere quasi dieci milioni. Numeri importanti. E, naturalmente, c’è chi ha pensato bene di realizzare oggetti, magliette e quadretti ispirati dalla «falciatrice».

Nel video si vedono donne, uomini e ragazzi avvicinarsi al «santuario» con i loro gadget. Pregano, recitano il rosario, restano in raccoglimento, invocano, protezione, appoggio, denaro, amore.

La «Bambina bianca» – altro soprannome dedicato alla Morte – ha fatto presa negli ambienti dei delle gang, tra piccoli e grandi padrini. Forse il suo grande ritorno – aggiungono i ricercatori - sarebbe coinciso con il crescere dei cartelli.

Nei covi sono stati ritrovati dei piccoli altari, a volte «in concorrenza» con un altro idolo dei banditi, Jesus Malverde. Nel 2017, nella prigione di Acapulco, è esplosa una rivolta sanguinosa, 28 prigionieri hanno perso la vita. Due le versioni.

La prima è che la strage è stata determinata da una faida, la seconda – ancora più cruda – è che c’entri la «Santa Muerte», con le vittime offerte in un sacrificio umano di massa. Una doppia verità di un fatto drammatico, una costante per quanto avviene nel paese sconvolto dalla violenza.

In agosto l’Fbi ha neutralizzato un banda di trafficanti a Albuquerque, New Mexico: oltre ad un grande arsenale sono state trovate due statuine della «Santa».

La Cassazione: “I migranti gay vanno accolti se nei loro Paesi sono a rischio”

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La sentenza invita a una maggiore tutela per le persone che vengono discriminate


ansa

Prima di negare lo status di rifugiati ai migranti che dichiarano di essere omosessuali e di rischiare la vita se rimpatriati a causa del loro orientamento sessuale, si deve accertare se nei Paesi d’origine non solo non ci siano leggi discriminatorie e omofobe ma anche verificare che le autorità del luogo apprestino «adeguata tutela» per i gay, ad esempio se colpiti da «persecuzioni» di tipo familiare.

Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso di un cittadino gay della Costa d’Avorio, minacciato dai parenti.
Al protagonista di questa vicenda giudiziaria arrivata fino alla Suprema Corte, la Commissione territoriale di Crotone non aveva concesso il diritto di rimanere in Italia sottolineando che «in Costa d’Avorio al contrario di altri

stati africani, l’omosessualità non è considerata un reato, né lo Stato presenta una condizione di conflitto armato o violenza diffusa». Per gli `ermellini´ questo non basta: serve accertare l’adeguata protezione statale per minacce provenienti da soggetti privati.

Bakayoko Aboubakar S. aveva raccontato che era di religione musulmana, coniugato con due figli, e diventato oggetto «di disprezzo e accuse da parte di sua moglie e di suo padre» che era imam del villaggio, «dopo aver intrattenuto una relazione omosessuale».

Aveva deciso di fuggire quando il suo partner era stato «ucciso in circostanze non note, a suo dire ad opera di suo padre», l’imam. Secondo la Cassazione «non è conforme a diritto» - quanto deciso oltre che dalla Commissione prefettizia anche dal Tribunale di Catanzaro nel 2014, e dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2016 - aver negato

la protezione a Bakayoko senza accertare se nel suo Paese sarebbe difeso dalle minacce dei parenti. Il caso adesso si riapre e sarà riesaminato da altri giudici nell’appello bis ordinato dagli “ermellini”.

Nel verdetto, i supremi giudici scrivono che pur in mancanza di «riserve sulla credibilità» del profugo ivoriano - non messa in discussione nelle fasi di merito - «non risulta che sia stata considerata la sua specifica situazione» e siano stati «adeguatamente valutati» i rischi «effettivi» per la sua incolumità «in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio

nei suoi confronti, senza la presenza di una adeguata tutela da parte dell’autorità statale». «A tal uopo - prosegue la Cassazione - non appare sufficiente l’accertamento che nello stato di provenienza, la Costa d’Avorio, l’omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendosi accertare in tale paese la sussistenza di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati».

Prato e il record mondiale dei tessuti riciclati: 143mila tonnellate

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di Elena Comell

La città toscana è la capitale globale della trasformazione. L’esempio di Comistra, che ricicla al 90 per cento e vende i tessuti ai grandi marchi della moda, da Armani a Zara

Prato e il record mondiale dei tessuti riciclati: 143mila tonnellate

Ogni secondo un carico di tessuti equivalente a un camion dei rifiuti viene gettato in discarica o bruciato. Ogni anno si perde così un valore di 500 miliardi di dollari di indumenti a malapena indossati. Di questo passo entro il 2050 l’industria della moda consumerà un quarto del

bilancio globale di combustibili fossili, in base all’ultimo rapporto della Ellen MacArthur Foundation. Eppure, su quasi 100 milioni di tonnellate di tessili prodotti all’anno nel mondo, appena l’1 per cento viene riciclato: 980mila tonnellate. Il 15 per cento di queste si ricicla a Prato: 143mila tonnellate nel 2018.

La città toscana è la capitale mondiale della trasformazione di materiali tessili post-consumo, una posizione che la colloca al centro degli obiettivi di sostenibilità dichiarati dai grandi marchi, alla ricerca di modelli di produzione più puliti.

«È da metà Ottocento che Prato ricicla gli stracci di tutto il mondo, con tecnologie avanzate e investimenti nei macchinari più innovativi», spiega Fabrizio Tesi, titolare insieme alla sorella Cinzia di un’impresa centenaria del distretto, la Comistra, che produce tessuti ricavati al 90 per cento da materiale riciclato.

Tesi è anche il presidente di Astri, l’Associazione del tessile riciclato italiano, nata due anni fa per valorizzare un’eccellenza italiana e promuovere il lavoro che a Prato si fa da quasi due secoli, trasformando gli scarti tessili, soprattutto di lana, in risorse. Astri ha preso vita grazie alla volontà di alcuni imprenditori del settore molto

impegnati sul fronte della rigenerazione di qualità, sostenuti da lavoranti e passatori, da cenciaioli e commercianti di materie prime, da filature, tintorie, rifinizioni e lanifici, che animano il primo distretto tessile d’Europa, con 7200 imprese, quasi 40mila occupati e un giro d’affari di 5 miliardi di euro all’anno.

«A partire da mio nonno Alfredo passando da mio padre Rolando e da mia madre Giovanna - spiega Tesi - abbiamo sempre avuto una forte vocazione all’innovazione, che ci ha portato alla realizzazione di un impianto a ciclo completo unico al mondo per rigenerare e trasformare i

sottoprodotti tessili e i materiali post consumo in un tessuto comunemente denominato “lana meccanica” o “lana di Prato”, cioè una lana riciclata creata senza l’utilizzo di nuovo vello di pecora e dotata di una qualità di altissimo livello, che vanta la certificazione Global Recycled Standard».

Ma l’esempio di Comistra, che vende i tessuti ai grandi marchi della moda, da Armani a Banana Republic, da Zara a H&M, non è un caso isolato. Nel distretto ci sono centinaia di aziende impegnate quasi al cento per cento nella rigenerazione di materiali post consumo, dalla filatura Valfilo, che produce filato cardato da riciclato, al

lanificio Intespra che crea invece tessuti, dalla Manifattura Maiano che lavora gli scarti tessili per ottenere isolanti adatti all’edilizia sostenibile, fino a startup giovani come Rifò, fondata l’anno scorso da Niccolò Cipriani, che produce sciarpe e cappelli in lana rigenerata.

Per Fabrizio Tesi e compagni l’utilizzo di materiali di scarto, che un tempo era ammesso con imbarazzo, ora può essere finalmente rivendicato con orgoglio: «Solo seguendo l’esempio di Prato l’industria della moda si salverà da un modello di produzione insostenibile», sostiene Tesi.

Nell’epoca del consumo consapevole tutti i grandi marchi si pongono il problema del riciclo e di integrare nelle proprie collezioni produzioni ecosostenibili. L’olandese C&A, per esempio, ha lanciato l’anno scorso un paio di jeans definiti i più sostenibili del mondo, i primi a ottenere la certificazione d’oro Cradle to Cradle («dalla culla alla culla»), il marchio globale della circolarità assoluta.

Sviluppati in collaborazione con Fashion for Good, i jeans sono realizzati con materiali sostenibili e non tossici, che possono anche essere compostati, con alcuni elementi, come la fodera e il filo, completamente ristrutturati per facilitarne il riciclo. Altri grandi marchi, come Adidas, Nike o Patagonia, riutilizzano tutti i propri scarti di produzione e includono in catalogo diversi prodotti realizzati utilizzando i rifiuti di plastica raccolti dagli oceani.

Adidas ha annunciato di aver già venduto un milione di paia di scarpe derivate dal riciclo della plastica ripescata in mare. Ma questi sono solo alcuni esempi virtuosi fra mille e c’è ancora molta strada da fare per invertire la tendenza allo spreco, incentivata da pratiche industriali insostenibili. «Bisogna rivoluzionare completamente i sistemi di produzione, ripensandoli dalla fine vita degli indumenti»,

ragiona Tesi, che dall’anno scorso ha avviato anche la produzione di capi d’abbigliamento realizzati in collaborazione con l’istituto d’arte Brunelleschi, in base ai principi dell’ecodesign. Si tratta di abiti pensati per essere riparati e rigenerati facilmente, con tutte le cuciture di cotone, colori non tossici e tessuti naturali, senza applicazioni di termoadesivi o inserzioni di materiale sintetico, che compromettono le possibilità di riciclo.

Movimenti come Fashion Revolution e piattaforme come Fashion for Good, dedicate a scatenare il cambiamento in uno dei settori più inquinanti del manifatturiero, ci stanno lavorando. A partire da tecnologie e modelli che a Prato sono di casa.

Libero e Virgilio, hacker 24enne ruba (dal bar) i dati di 1,4 milioni di email

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di Luigi Ferrarella

Milano, fermato dopo l’accesso abusivo ai sistemi di Italiaonline. Ignoti i committenti dell’intrusione informatica (per la quale era stato promesso un pagamento in bitcoin)

Libero e Virgilio, hacker 24enne ruba (dal bar) i dati di 1,4 milioni di email

MILANO — La prima volta che hanno visto quel tizio armeggiare con un computer portatile e una buffa antennona, seduto al «Dennys Cafè» accanto agli uffici di Italiaonline ad Assago, nell’hinterland milanese, hanno provato a inseguirlo ma, mentre correva via, sono riusciti solo a fargli una foto.

Ma la seconda volta, insieme ai carabinieri di Assago, hanno fatto in tempo a fermarlo e a prendergli il computer: solo che intanto era già riuscito a carpire, a fare da «ponte» e subito a spedire via web ai suoi ignoti committenti le credenziali di accesso alle caselle di posta elettronica di 1 milione e 400.000 clienti dei servizi di Libero Mail e di Virgilio Mail.

Un attacco digitale tanto naif nella modalità pratica, quanto velocissimo ed efficace nelle dimensioni del bottino digitale rubato. Un «accesso abusivo a sistema informatico» (da 1 a 5 anni) sul quale ora indaga la Procura di Milano e sta svolgendo una apposita ispezione il Garante per la privacy, avvisato (come impone dal 25 maggio 2018 il nuovo Regolamento generale europeo) dal

primo gruppo digitale italiano con 330 milioni di fatturato, 26,7 milioni di utenti unici al mese e 226 mila piccole e medie imprese clienti, controllato dal magnate egiziano Naguib Sawiris e da fondi internazionali dopo la fusione nel 2016 con Seat Pagine Gialle spa recante in dote anche PagineGialle e PagineBianche.

Il tentativo del pm Bianca Maria Eugenia Baj Macario e dei carabinieri di risalire ai committenti del colpo muove dunque dal curioso identikit dell’ingegnoso «manovale» esecutore: l’uomo con l’antennone al bar è infatti un 24enne di buona famiglia, studente di Giurisprudenza a Milano, che su una chat di Telegram (servizio di

messaggistica difficile da intercettare) ha risposto alla promessa di pagamento in bitcoin (criptovaluta digitale) in cambio dell’attacco, avviato entrando nella rete WiFi aziendale con la password (catturata o passatagli) di un dipendente.

Due i danni potenziali. Il primo, quello diretto, è stato immediatamente contenuto da Italiaonline, il cui sistema antintrusione ha subito ordinato il forzato cambio password delle caselle degli utenti: che dunque, in cambio del temporaneo fastidio di non poter accedere alla mail e dover cambiare le password sulla scorta dell’avviso

ricevuto dall’azienda, in breve sono stati protetti dal rischio che i «pirati» informatici potessero entrare nei contenuti delle loro mail. E difatti l’azienda ieri fa sapere che, «allo stato, non ci sono utenti che abbiano segnalato accessi indesiderati alla propria posta».

Il secondo danno potenziale, invece, è difficile da stimare perché legato alla ricorrente pigrizia di chi usava la medesima password (della posta hackerata) per accedere anche ad altre piattaforme, come conti bancari e carte di credito, abbonamenti online, servizi sui social media: se non si cambia password, ora i «pirati» potrebbero far fruttare lì il bottino digitale.

“Arrestato per colpa di Apple”, negli Usa un 18enne fa causa per un miliardo di dollari

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Il ragazzo afferma che il riconoscimento facciale utilizzato negli store dell’azienda lo avrebbe collegato a una serie di furti compiuti nei negozi. Ma Cupertino smentisce: “Non usiamo quel sistema”


REUTERS

Un teenager di New York fa causa alla Apple per un miliardo di dollari. Il 18enne Ousmane Bah sostiene di essere stato arrestato ingiustamente. Tutta colpa, o quasi, del sistema di riconoscimento facciale utilizzato negli store dell’azienda di Cupertino che lo avrebbe collegato ad una serie di furti compiuti nei negozi.

Bah, arrestato a novembre, afferma che il mandato comprendeva una foto di un’altra persona. Il giovane ha avviato l’azione legale basandosi anche sulle affermazioni di un detective del Dipartimento di polizia di New York: nei video registrati dalle telecamere degli store, sarebbe stato ripreso un soggetto che “non somigliava nemmeno lontanamente” a Bah.

Apple, come riferisce il Washington Post, non ha commentato la vicenda specifica, limitandosi ad affermare che non usa nei propri punti vendita una tecnologia di riconoscimento facciale come quella descritta nell’azione legale.

Al centro del caso, a quanto pare, c’è un tesserino studentesco che il ragazzo avrebbe smarrito o che sarebbe stato rubato. Il legale di Bah ipotizza che il documento sia stato presentato in un Apple Store e che sia stato quindi abbinato al volto del ladro ripreso dalle telecamere.

Secondo questo schema, a ogni ingresso del ladro in un negozio della Apple, il sistema avrebbe segnalato la presenza di Bah. In attesa che si faccia definitivamente chiarezza, il 18enne ha dovuto fare i conti con accuse formalizzate in Delaware, Massachusetts, New Jersey e New York.

In tre casi, i procedimenti sono stati archiviati. Gli inquirenti, ad esempio, hanno appurato che il teenager non è mai stato Boston nel periodo in cui è stato compiuto il furto. In New Jersey il fascicolo è ancora aperto.

Vodafone: nella Rete Huawei in Italia trovate in passato delle Backdoor

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di Michela Rovelli

La società di telecomunicazioni ha rivelato a Bloomberg di aver trovato tra il 2009 e il 2011 delle «porte d’ingresso» all’interno delle infrastrutture del colosso cinese. Ne aveva poi chiesto (e ottenuto) la rimozione

Vodafone: nella Rete Huawei in Italia trovate in passato delle Backdoor

La tesi che il governo americano sta portando avanti da mesi — cercando di convincere con insistenza i Paesi alleati a sposarla — è una dichiarazione di guerra a Huawei.

Il colosso, secondo le continue accuse statunitensi, sfrutterebbe le sue infrastrutture per permettere al governo cinese di spiare il mondo occidentale. Compresa l’Italia, dove la società ha costruito gran parte delle Reti ed è protagonista della futura Rete mobile 5G.

Nessuna presa di posizione, al momento, è stata espressa dal nostro Paese, dove le principali aziende di telecomunicazioni continuano a lavorare con Huawei. In particolare Vodafone, che con i cinesi sta anche imbastendo la sperimentazione del 5G a Milano. Ed è proprio da Vodafone che però arriva una nuova possibile arma a favore della tesi del governo americano.

Le vulnerabilità nel business del più grande simbolo dell’espansione tecnologica asiatica ci sono state. E hanno riguardato proprio l’Italia. Riporta Bloomberg che il Gruppo di telecomunicazioni più grande d’Europa ha raccontato di aver scoperto alcune possibili vulnerabilità nelle infrastrutturecostruite da Huawei in Italia alcuni anni fa.

La società aveva trovato alcune backdoor all’interno dei software che potevano dare a Huawei un accesso non autorizzato alla Rete fissa di Vodafone. Backdoor letteralmente significa «porta sul retro» e nel linguaggio informatico sta a indicare un metodo per aggirare i controlli di sicurezza e accedere quindi al sistema, nonché a dati criptati.

Spesso le backdoor vengono inserite all’interno dei software per andare a risolvere un’emergenza o fare controlli, ma il «comando» può anche essere considerato una vulnerabilità, poiché può essere sfruttato con intenti criminali o con scopi di spionaggio, come in questo caso. Vodafone, in Italia, fornisce servizi Internet a milioni di persone.

Bloomberg dichiara di aver potuto visionare i documenti di sicurezza della società, che risalgono a un periodo che va dal 2009 al 2011. E conferma che la società di telecomunicazioni ha chiesto e ottenuto la rassicurazione della rimozione delle backdoor nel 2011 da parte di Huawei.

Test successivi hanno però rivelato che alcune di questo «porte» sono rimaste.Huawei è il primo fornitore al mondo di apparecchiature di telecomunicazioni. Nonostante i continui attacchi da parte del governo americano, la società cinese continua a firmare contratti con operatori europei per la costruzione delle nuove infrastrutture per il 5G.

Non solo Vodafone, ma anche Nokia e Ericsson si appoggiano alle sue Reti. La stessa Vodafone ha sempre difeso il colosso asiatico dalle accuse di Trump. Anche perché, banalmente, ormai è troppo tardi per tornare indietro. Un addio a Huawei significherebbe un ritardo di anni sull’arrivo del 5G e un ritardo tecnologico che l’Europa non può e non vuole permettersi.

Maratona vietata agli atleti africani. Polemica a Trieste

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Il Pd: "Siamo tornati alle epurazioni, questo è razzismo". Gli organizzatori ribattono: "lo facciamo solo per evitare lo sfruttamento di quegli sportivi"

Maratona vietata agli atleti africani. Polemica a Trieste

E' polemica sul Trieste Running Festival, la manifestazione podistica che si terrà in città dal 3 al 5 maggio, accusata di razzismo dal Pd mentre gli organizzatori si giustificano dicendo di aver escluso atleti africani dalla mezza maratona solo per evitare il loro sfruttamento.

"Quest'anno abbiamo deciso di prendere soltanto atleti europei per dare uno stop affinché vengano presi dei provvedimenti che regolamentino quello che è attualmente un mercimonio di atleti africani di altissimo valore, che vengono semplicemente sfruttati e questa è una cosa che non possiamo più accettare". Così ha detto il presidente della Apd Miramar, Fabio Carini, organizzazione del festival, mentre dal Pd arrivavano bordate, accuse di epurazioni e razzismo.

"A Trieste siamo arrivati alle epurazioni nello sport: ultima follia di un estremismo che sta impregnando e snaturando la città, sulla quale i più alti rappresentanti politici e istituzionali hanno messo la faccia. Fatto grave e indegno". Così scrive Isabella De Monte, eurodeputata Pd e ricandidata al Parlamento europeo nel Nordest commentando la decisione degli organizzatori di non far partecipare atleti professionisti africani alla mezza maratona.

Secondo De Monte "non si usi lo sfruttamento degli atleti come foglia di fico: per sollevare questioni simili ci sono luoghi e organismi preposti cui rivolgersi. Qui siamo davvero all'assurdo: si impedisce a dei professionisti di prendere parte a una gara perché provenienti dall'Africa.

Attenzione, sono mesi che lo diciamo: la situazione sta davvero sfuggendo di mano e stiamo tornando indietro a tempi bui.Davanti a scelte simili la reazione è una sola: l'indignazione. Lo sport è condivisione, unione, uguaglianza, lealtà, rispetto: lo si insegna ai bambini e ai ragazzi.

Ma che esempio si dà con scelte simili? Ancora una volta una vergogna inflitta a una città come Trieste e a una regione come il Friuli Venezia Giulia, da sempre culle di civiltà".
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