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Salerno, contrabbandieri col reddito di cittadinanza: incassavano mezzo milione ogni tre mesi con le sigarette

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di Felice Naddeo

Maxi blitz della Finanza, 11 arresti e un provvedimento di divieto di dimora: cinque di loro avevano il sostegno economico dello Stato e si erano dichiarati nullatenenti



Contrabbandieri con lauti guadagni, ma incassavano anche il reddito di cittadinanza.

Nella maxi operazione della Guardia di Finanza di Salerno, che ha portato all’arresto di 11 persone per traffico di sigarette nove sono finiti in carcere e due ai domiciliari e a un provvedimento di divieto

di dimora, ci sono cinque persone che da mesi percepivano regolarmente il sostegno economico dello Stato. Nelle loro richieste per il reddito di cittadinanza, che ora è stato sospeso, si erano dichiarati nullatenenti e senza un lavoro. I cinque hanno una età compresa tra i 50 e i 60 anni.

Tutti i componenti della banda sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri.

La Guardia di Finanza ha calcolato che solo nel periodo giugno-agosto 2018, il gruppo ha portato in Italia dall’Europa dell’Est ma anche dalla Cina e commercializzato circa tre tonnellate di sigarette per un volume d’affari da mezzo milione.

Thailandia, re Rama toglie i titoli alla consorte «sleale»

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«Comportamento inappropriato» contro la regina e il monarca. Sineenat, 34 anni, «non ha rispettato le tradizioni reali cercando di apparire equivalente alla regina»

Thailandia, re Rama toglie i titoli alla consorte «sleale»

Maha Vajiralongkorn, re Rama X di Thailandia, ha ripudiato l'ultima moglie, la 34enne Sineenat Wongvajirapakdi.

Fidanzata di lunga data, provetta pilota, infermiera e bodyguard, la prima concubina reale della Thailandia, tra la sorpresa dei sudditi, aveva ricevuto in luglio il titolo di consorte reale e l'«unzione» dal sovrano, in diretta tv sotto lo sguardo impassibile della sua terza moglie e regina Suthida.
Nobile consorte reale
Adesso, a distanza di appena un paio di mesi, il re ha accusato la donna di slealtà, revocandole tutti i titoli, reali e militari. Lo ha annunciato la casa regnante in un comunicato: «Sineenat Bilaskalayani non ha rispettato le tradizioni reali cercando di apparire equivalente alla regina e sfidando la coppia reale», si legge.

Una spettacolare caduta in disgrazia per una donna che è entrata nella famiglia reale solo per pochi mesi, passata da concubina a «Nobile consorte reale» nel giorno del 67esimo compleanno del monarca, quando, prostrata ai piedi del re, ricevette sul capo l'acqua benedetta dai monaci buddisti.
La regina
Poco prima, in maggio, la terza moglie del re, la 41enne regina Suthida, ex assistente di volo, si era prostrata nello stesso modo ai piedi del consorte che l’aveva già nominata Generale a capo delle sue guardie del corpo prima di sposarla e darle il titolo di Regina Suthida Vajiralongkorn Na Ayudhya, benedicendola con l’acqua rituale, versata dalla sacra ampolla.

In Qatar, sede dei Mondiali di calcio 2022, fa così caldo che bisogna condizionare anche l’aria esterna. E si dipingono le strade di blu…

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Luigi Bignami

E eccoci a qualcosa a cui non saremmo mai voluti arrivare: condizionare l’aria in cui viviamo all’aperto per il troppo caldo. Sembra quasi una barzelletta eppure in Qatar, uno dei Paesi più caldi della Terra, si è arrivati a tanto.

Le temperature estive infatti, ora raggiungono una temperatura di 46 °C e tali vi rimangono per numerosi giorni. E proprio in Qatar si terranno i Mondiali di Calcio del 2022, che sono stati spostati in inverno per non veder soccombere i calciatori durante le partite.

Ma in Qatar si è ormai arrivati al punto che poiché l’aria esterna è così calda e umida da far svenire le persone, viene letteralmente raffreddata. Il sistema è già utilizzato in alcuni stadi da calcio per mantenere freschi pubblico e giocatori.

Ora però si sta passando dai luoghi di divertimento ai luoghi di lavoro all’aperto e si stanno creando impianti di condizionamento lungo alcuni marciapiedi e grandi centri commerciali per aiutare le persone che vi lavorano.

Il sistema funziona facendo circolare appena sotto il suolo acqua fredda, la quale raffredda l’aria vicino ad essa che viene sparata fuori da appositi ugelli.

Il Qatar è un Paese molto caldo perché le acque del Golfo Persico che lo circondano arrivano a temperature che in estate toccano e superano i 32 °C. Poiché i venti sono quasi assenti durante l’estate, si capisce perché la temperatura delle terre emerse vicino al mare raggiunga valori davvero insopportabili all’uomo.

Spiega Jos Lelieveld, chimico atmosferico del Max Planck Institute in Germania: “Quelle aree si stanno riscaldando più velocemente rispetto ad altre aree emerse del globo e in alcune città oltre al caldo già di per sé elevato, si ha un effetto ‘isola di calore urbano e di inquinamento’ che causano situazioni che a volte risultano insopportabili”.

Certamente quest’uso così elevato di aria condizionata, avrà un impatto non indifferente sul consumo di elettricità del Paese in quanto quasi il 70 per cento del suo uso è indirizzato al condizionamento delle abitazioni.

Ma per vincere il caldo, a Doha, la capitale del Paese, si è arrivati a dipingere l’Abdullah Bin Jassim Street, una delle vie principali, in blu, così da ridurre la cattura delle radiazioni solari da parte del catrame.

L’esperimento è durato circa 16 mesi e ha tenuto sotto controllo un tratto di strada lungo circa 80 metri, la quale è stata ricoperta di uno speciale pigmento dello spessore di circa un millimetro con caratteristiche termoriflettenti.

Tale pellicola contiene anche delle microsfere di ceramica cave al loro interno in grado di riflettere le radiazioni infrarosse, che sono quelle che trasmettono il calore.

Stando a Saad Al-Dosari, l’ingegnere che ha seguito la ricerca nel tratto di strada pitturato in blu le temperature erano di circa 20 °C inferiori rispetto ad altrove e dunque sembra che il sistema possa realmente funzionare.

L’esperimento non è unico al mondo in quanto anche Los Angeles ha già sperimentato un rivestimento grigio-biancastro da porre sulle strade, in grado di renderle di circa 5 °C più fredde rispetto a quelle nerastre.

L'Onu ha finito i soldi: stop a feste serali, ascensori e riscaldamento

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L'Onu ha finito i soldi: stop a feste serali, ascensori e riscaldamento

Niente più party (dopo le 18). L’Onu ha finito i soldi e vara un piano di austerity rigidissimo.

Come riportato da Cbs News e dal New York Times, infatti, l’Organizzazione mondiale per le nazioni unite potrebbe non riuscire a pagare gli stipendi di novembre a causa della «grave crisi finanziaria»

così l’ha definita il segretario generale António Guterres che imperversa al Palazzo di Vetro per ritardi nei versamenti dei contributi da parte di decine di Paesi.

Sono state così approvate una serie di norme per ridurre al massimo le spese dell’Onu e cercare di risparmiare il più possibile, in vigore dal 10 ottobre e «sino a nuovo avviso».

Tra le regole indicate nel piano di austerità figurano il blocco delle nuove assunzioni, il divieto di usare gli ascensori e le scale mobili (se non in casi in cui sia realmente indispensabile), la limitazione dei viaggi ufficiali e la cancellazione di tutti gli eventi serali.

È stata anche fermata la fontana che accoglie i visitatori all’entrata del Palazzo di Vetro, quartier generale dell'Onu.
Il piano di austerity
Decisa da Guterres anche la limitazione delle traduzioni, il rinvio dell’acquisto di beni e servizi non strettamente necessari e la limitazione del riscaldamento alla fascia oraria 8-18 in un’ottica di spending review.

Tutte le norme che impongono questo regime d’austerità al Palazzo di Vetro sono contenute in un documento interno inviato a tutti i dipartimenti e uffici e firmato dal segretario generale dell’Onu.

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I nodi del bilancio
Sul finire del mese di settembre solo il 70% del contributo totale era stato stanziato, rispetto al 78% dello stesso periodo del 2018. Responsabili del 97% del budget non versato sono ben sette paesi, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Messico, Iran, Israele e Venezuela.

Gli Usa in particolare sono il principale singolo donatore delle Nazioni Unite, versando una cifra pari al 22% del budget ordinario e al 28% del bilancio per le operazioni di mantenimento della pace.Solo per il 2019 devono ancora versare 674 milioni di dollari, in aggiunta ai 381 per quelli precedenti.

Sono 32 i Paesi che al 18 ottobre non hanno ancora pagato i rispettivi contributi, mentre è consultabile (qui la lista completa) l'elenco degli Stati che hanno contribuito con la propria parte al bilancio dell'Onu.
La risposta di Trump
Il presidente Trump, che ha spesso denigrato l’Onu, lamentandosi della quantità di denaro che gli Stati Uniti sono tenuti a pagare, non ha mostrato empatia per l’allarme di Guterres.«Quindi fai pagare tutti i Paesi membri, non solo gli Stati Uniti!», ha «cinguettato» con un post sul suo profilo Twitter.

7 motivi per cui mi rifiuto di comprare qualsiasi cosa su Amazon

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Frank Olito
  • Anche se tutte le persone che conosco adorano fare shopping online, io mi rifiuto di acquistare qualsiasi cosa su Amazon.
  • Mentre molti lo considerano conveniente, per me farmi consegnare un prodotto a casa è una grandissima seccatura. Odio aspettare un pacco, soprattutto se non arriva in tempo o se viene rubato, per cui preferisco fare acquisti nei negozi tradizionali.
  • Inoltre, risparmio soldi non pagando un canone mensile per Amazon Prime e le spese di consegna.
  • Per concludere, Amazon danneggia anche le piccole imprese e a quanto pare tratta male chi effettua le consegne, facendomi passare la voglia di sostenerla.
Con il rapido avanzare dell’apocalisse dei negozi al dettaglio negli USA, i consumatori continuano a rivolgersi ai rivenditori online come Amazon per i propri acquisti. In effetti, oggi esistono 90 milioni di abbonati ad Amazon Prime. Io non sono tra questi.

In quanto millennial, dovrei fare tutto via internet socializzare, fissare appuntamenti e anche comprare. Ma io sono unico in quanto preferisco acquistare nei negozi al dettaglio tradizionali.Anche se milioni di persone si rivolgono ad Amazon per la sua convenienza, io preferisco evitarla. Ecco perché.
Quando acquisto qualcosa, la voglio subito. Non voglio aspettare che venga consegnata.

Odio aspettare le consegne. Spencer Platt/ Getty
Acquistare un oggetto in un negozio tradizionale dà una gratificazione istantanea. Scelgo un oggetto, lo pago e poi l’oggetto è subito mio. Facendo acquisti online, bisogna aspettare a volte per più di una settimana prima di entrare in possesso dell’oggetto.

Quando in passato ho acquistato degli oggetti da Amazon, la finestra di consegna che mi era stata data era completamente sbagliata, per cui alla fine ho aspettato addirittura più di quanto avevo previsto. Può essere frustrante, soprattutto quando l’oggetto serve immediatamente.

È più semplice rivolgersi al proprio negozio di zona e avere subito l’articolo. Va bene, vivo in una grande città, per cui per me è più facile andare semplicemente al negozio e procurarmi subito l’oggetto.
Amazon Prime tenta di ridurre i tempi di consegna, ma è solo un’altra inutile spesa mensile che non posso permettermi.

Amazon Prime è una spesa di lusso. Shutterstock
Un abbonamento annuale costa 36 euro, e 3,99 euro al mese. A questo prezzo promette di consegnare gratis tutti gli articoli acquistati sul sito. Ma è veramente gratis se si paga un abbonamento?

Certo, probabilmente con l’abbonamento si risparmiano soldi sulle consegne, ma io risparmio anche di più semplicemente andando al negozio ed eliminando del tutto questa spesa di spedizione.

Inoltre, ho già altri abbonamenti mensili più essenziali che mi mantengono in salute come l’abbonamento alla palestra e a HelloFresh (compagnia che consegna kit per il pranzo necessari per una determinata ricetta, ndt.). Amazon Prime, per contro, mi sembra un’inutile spesa di lusso.

I pacchi vengono spesso rubati davanti alla porta di casa, soprattutto dal momento che vivo in una città.

A volte i pacchetti scompaiono. Shutterstock
Vivo in un condominio a Brooklyn, per cui la maggior parte dei pacchi del mio condominio vengono lasciati fuori sulla scalinata o nell’atrio. I vicini mi hanno detto che i loro pacchi sono stati rubati o semplicemente molte volte non sono arrivati.

Ma la cosa non succede solo in città. In effetti, il 30% delle persone negli USA ha detto che un pacco di una consegna gli è stato rubato sulla soglia di casa nel 2017. Alcuni hanno perso centinaia di dollari quando gli sono stati sottratti i pacchi, per cui io risparmio ancora più soldi acquistando nei negozi al dettaglio.

Certo, puoi avere un’Amazon Key (servizio per ora proposto solo negli USA, ndt.), che permette ai fattorini di aprire la tua porta, garage o macchina, in modo da riuscire a lasciare con sicurezza il pacchetto all’interno.

Però, Key for Home costa oltre 300 dollari, non esattamente una piccola somma. Essendo un cittadino che si sposta molto e non ama l’idea di un estraneo che entra in casa mia, non credo che Amazon Key sia la soluzione perfetta per tutti.

Quando ordino vestiti o scarpe da Amazon, non posso provarli prima di comprarli

Preferisco comprare i vestiti di persona. Sean Gallup / Getty Images
Sono una persona tattile e amo provare un articolo prima di comprarlo. Quando si tratta di vestiti, devo sentire il tessuto, e devo vedere come mi stanno. Tutte cose che si possono fare comodamente in un negozio tradizionale. Per me è difficile acquistare qualcosa basandomi semplicemente su una fotografia di un sito.
I pacchi creano rifiuti inutili con cui non voglio avere a che fare.

Un sacco di scatole inutili. Leon Neal/ Getty
Le spedizioni di Amazon arrivano in scatole di varie dimensioni e sono piene di pluriball. Dato che le scatole vengono fatte cadere in media 17 volte, i rivenditori tendono a esagerare mettendo scatole dentro a scatole.

In effetti, ogni anno circa 1 miliardo di alberi vengono abbattuti per realizzare queste scatole.Quando mi fermo nei negozi tradizionali, peraltro, posso dire al commesso che non mi serve la borsa della spesa. Piuttosto metto l’articolo acquistato in uno zaino.

Nel raro caso in cui prendo un sacchetto, posso facilmente riusarlo a casa, a differenza di una grande scatola.

La compagnia danneggia gli altri rivenditori, soprattutto le piccole imprese.

Alcune piccole imprese ritengono di essere danneggiate da Amazon. Shutterstock
Amazon ha detto che 1 milione di piccole e medie imprese ha venduto i propri prodotti sul sito e, di queste, nel 2017 20.000 hanno ricavato oltre un milione di dollari dalle vendite .

Ma alcuni titolari di piccole imprese sostengono che Amazon sia in realtà una minaccia per le loro attività. Secondo Forbes, i titolari di due imprese su tre dicono che la loro crescita è influenzata negativamente dal venditore online.

Anche se Amazon permette alle piccole imprese di raggiungere una clientela globale, la compagnia carica il 15% di commissione.In altre parole, credo sia meglio comprare direttamente presso la piccola attività locale che comprare i suoi prodotti tramite Amazon.
Per finire, Amazon non tratterebbe bene i propri fattorini, e io non voglio sostenere una compagnia che non valorizza i propri dipendenti.

A volte i fattorini di Amazon mettono a rischio la propria vita per consegnare i pacchi. Picture Alliance/ Getty
Anche se le consegne gratis e rapide possono sembrare un valore aggiunto, c’è un prezzo da pagare. I fattorini di Amazon hanno raccontato a Business Insider che sentono l’esigenza di guidare veloce, non fermarsi agli stop e urinare nelle bottiglie all’interno dei loro furgoni per fare le consegne in tempo.

I fattorini hanno anche detto che non sono stati pagati per gli straordinari e che gran parte del loro stipendio è stata tagliata. Non voglio che un fattorino rischi la propria vita in situazioni pericolose solo perché mi servono dei prodotti da bagno. Piuttosto faccio il lavoro da me e compro l’articolo in un tradizionale negozio al dettaglio.

Matteo Salvini e «La Bestia»: come catturare 4 milioni di fan sui social

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di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

«Il nome della Bestia l’ho copiato dalla campagna elettorale di Barack Obama («The Beast» era proprio la struttura creata, con un peso schiacciante di internet, per arrivare alla Casa Bianca)». Le similitudini però si fermano giusto al nome.

Pochi giorni fa il 46 enne Luca Morisi, il noto consulente d’immagine di Matteo Salvini, lascia il bunker di Mantova da dove produce l’epica del Capitano, per una lezione a Torino a 50 giovani aspiranti spin doctor (organizzata da YouTrend).

I documenti presentati in quell’occasione permettono a Dataroom di ricostruire il funzionamento della potente macchina social che dal 2014 sta dietro l’ascesa del leader della Lega, oggi il politico con più consenso in Italia (sabato a Roma in piazza San Giovanni c’erano oltre 100 mila partecipanti).



A far funzionare la Bestia ci sono 35 esperti digitali che coprono la vita pubblica e privata di Salvini 24 ore al giorno, festività incluse. Il vincolo è quello della riservatezza assoluta.


I numeri record
Durante i cinque mesi di campagna elettorale per le Europee del 26 maggio, su Facebook, definito l’ammiraglia del Capitano: 17 post al giorno; 60,8 milioni di interazioni (che vuol dire like, commenti, condivisioni); 40 milioni di like e oltre 5 milioni di ore di video visualizzati.

Risultato delle elezioni: Lega primo partito con il 34%. Da giugno i ritmi sono un po’ più lenti ma continua a crescere: i like sui post hanno raggiunto i 52 milioni, 11,5 milioni le condivisioni. Oggi i fan su Facebook sono oltre 3,8 milioni, su Instagram 1,8, su Twitter 1,2.



È una corazzata senza pari in Italia che dal buongiorno con pane e Nutella, alle castagne in padella per la figlia, fino alla domenica sera da Barbara d’Urso, macina ininterrottamente.

In rapporto alla popolazione, «La Bestia» performa meglio delle macchine social del presidente del Brasile Jair Bolsonaro, dell’americano Donald Trump e del primo ministro indiano Narendra Modi.


Il gioco degli specchi
I meccanismi per aumentare i fan sui social sono sfruttati in tutto il loro potenziale, a partire dal T-R-T: una sigla che sta per televisione, rete, territorio.

Si tratta di un gioco di specchi per mettere continuamente in comunicazione i tre ambiti: l’attesa dell’intervista tv viene trainata da ripetuti annunci su Facebook, durante la trasmissione si estrapolano e commentano in tempo reale fermi immagine e tweet live con i messaggi chiave da diffondere.

Subito dopo vengono postati gli interventi tv (nel caso di Renzi rimontato ad hoc) con l’invito ai fan a esprimere il loro parere. Questo meccanismo trascina gli utenti social sulle reti tv (e viceversa) e contribuisce ad aumentarne l’audience.

Salvini è il politico più invitato, e la parola d’ordine è: spolpare ogni evento fino all’osso. Lo stesso sistema vale per i comizi.

Poi, siccome è proprio la velocità dei like che contribuisce a fare impennare l’algoritmo di Facebook e dunque ad ampliare la platea di chi vede il post, ecco sotto elezioni il gioco «Vinci Salvini»: chi per primo mette «Mi piace» entra in una graduatoria che alla fine farà guadagnare ai primi classificati una telefonata o un caffè con il leader.
Come «La bestia» arriva alla pancia degli elettori
Per raccogliere fan è cruciale la scelta dei messaggi: più toccano temi divisivi e più generano partecipazione (come le campagne contro gli immigrati #finitalapacchia, #prima gli italiani e #portichiusi); funzionano gli slogan motivazionali

(«la Lega continua a volare»), gli attacchi ai rivali politici («Sono ministri o comici?»), le immagini di vita privata («Mano nella mano» come commento a un post con la figlia), il coinvolgimento degli utenti («Siete pronti?»).

Lo staff utilizza anche il software che individua l’argomento del giorno più discusso in rete, e consente di adeguare i messaggi da lanciare. Dal tortellino al pollo, fino a Mahmood. A caldo si era schierato contro la vittoria del cantante, salvo poi fare marcia indietro e lodarlo.

Un ruolo strategico è affidato ai sondaggi. Il 17 dicembre 2017 la Lega commissiona a Swg di testare la percezione degli elettori su una possibile minaccia dei Naziskin: il 67% degli elettori del Carroccio non li ritengono pericolosi (al contrario di chi vota per altri partiti).

Da allora Salvini può tranquillamente spendersi a favore di CasaPound. Il documento, mai reso pubblico, lo ha scovato Report, che approfondirà questa sera su Rai 3.


La propagazione del messaggio
La diffusione del messaggio del Capitano è capillare grazie ai ripetitori digitali: almeno 800/1000 fedelissimi ricevono il link dei post su una chat WhatsApp e immediatamente lo condividono sulla propria pagina Facebook e lo rilanciano in altre chat.

Contemporaneamente i canali fiancheggiatori inseriscono lo stesso contenuto su più pagine pubbliche. Vietati invece i commenti con #49 miliioni, #Siri o qualunque parola evochi uno scaldalo in cui è coinvolta la Lega.

«L’esercito va nutrito e motivato», è il Morisi-pensiero: affinché tutti si sentano protagonisti, per la manifestazione di Roma del 19 ottobre sono stati creati cartelloni automatizzati con la propria foto di fianco a Salvini.


Profilatura dei fan
I fan vengono profilati, al fine di inviare messaggi mirati. L’ultimo esempio è proprio legato al raduno di piazza San Giovanni dove Salvini lancia l’invito: «Mandate i vostri dati personali a legaonline.it e riceverete le informazioni richieste per i pullman e i treni diretti alla manifestazione di Roma».

I 137.000 euro spesi da marzo a oggi in pubblicità su Facebook, vengono utilizzati soprattutto per geolocalizzare il messaggio e scegliere il target: inviare per esempio perfino ai tredicenni il post contro il governo che pensa di tassare le merendine, oppure raggiungere il più alto numero di elettori dell’Umbria in vista delle elezioni del 27 ottobre.

Un’onda d’urto che, sfruttando l’abilità del leader leghista, ha fatto leva su tutte le debolezze del paese. Alla fine probabilmente un buon 90% di quei 3,8 milioni di fan vota Salvini, ma da tutta questa attività social intrisa di slogan e provocazioni è difficile capire quale sia il progetto politico.
Le spese e chi le paga
«La Bestia» ha anche un costo e qualcuno lo pagherà. Luca Morisi e il socio Andrea Paganella, fatturano tramite la SistemaIntranet, una società in nome collettivo (snc) che non ha l’obbligo di depositare i bilanci.

Durante i 14 mesi di Salvini ministro dell’Interno entrambi hanno avuto un contratto con il Viminale: 65 mila euro per Morisi, 86 mila per Paganella. Pagati anche altri 4 contratti del team social: 41.600 euro ciascuno.

A gestire i soldi del partito è invece la Lega per Salvini premier. Due milioni di euro sono arrivati da 187 mila contribuenti che nel 2018 hanno donato il loro 2x1000.



Per il 2019 è previsto «un robusto incremento» delle entrate, poiché in cassa sta confluendo 1/3 dello stipendio di ogni eletto del Carroccio. Nel bilancio la principale voce di costo, è genericamente indicata come «servizi»: 623 mila euro.

Milano, Antonio Cianci killer in permesso premio accoltella un uomo in un parcheggio

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L’autore del gesto è Antonio Cianci, che nel 1979 aveva ucciso tre carabinieri a Melzo. L’aggressione all’ospedale San Raffaele: il ferito è grave ma non in pericolo di vita

Milano, Antonio Cianci killer in permesso premio accoltella un uomo in un parcheggio

Un uomo di 79 anni è stato ferito con una coltellata alla gola mentre si trovava nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale San Raffaele di Milano. Le sue condizioni sono gravi, ma non sarebbe in pericolo di vita.

A ferirlo è stato Antonio Cianci, il pregiudicato di 60 anni che nell’ottobre del 1979 aveva ucciso tre carabinieri a Melzo (Milano).

Detenuto nel carcere di Bollate dove stava scontando l’ergastolo, Cianci aveva ottenuto, da quanto si è saputo, un permesso premio. La polizia ha fermato Cianci con in tasca il taglierino ancora sporco di sangue: il movente del gesto sarebbe una rapina.

L’episodio costato il carcere a vita a Cianci risale al 9 ottobre del ’79: lungo la strada provinciale 14 tra Melzo e Liscate rimasero falciati il maresciallo Michele Campagnolo, l’appuntato Pietro Lia e il carabiniere Francesco Tempini, che stavano effettuando un posto di blocco.

Il killer, fermato per un normale controllo dei documenti, fu catturato poco dopo grazie a una soffiata. Cianci viaggiava su un’auto rubata e pochi anni prima, minorenne, aveva già ucciso un metronotte.

“I ladri sono quasi tutti bianchi”. Il procuratore Greco all’attacco: “Oltre mille furti al mese a Milano”

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“A volte si ha un’idea un po’ strana del colore della pelle in relazione alla criminalità”. E nelle aziende “si spende più in tangenti che in innovazione”.



“Il 99,9 per cento dei ladri di appartamento sono bianchi, a volte si ha un'idea un po' strana del colore della pelle in relazione alla criminalità”.

Lo ha detto il procuratore Francesco Greco, nel corso della conferenza per la presentazione del Bilancio di responsabilità sociale della procura milanese, oggi al palazzo di giustizia.

Un dato fondamentale, sfuggito a chi ha stilato il rapporto, che dedica un intero capitolo ai furti in appartamento. La procura registra in media circa mille denunce di furto in abitazione ogni mese, un fenomeno contro cui si lotta in sinergia con le forze dell'ordine.

Altro grande problema sono le mazzette e la corruzione internazionale. “Siamo pieni di procedimenti di questo tipo - ha sottolineato Greco - e vediamo gli effetti negativi, sia nei confronti degli Stati vittime sia nei confronti delle nostre imprese che invece di investire in innovazione, investono in tangenti”.

Il procuratore ha poi invitato tutti a non essere più “provinciali” e a pensare che la corruzione esista soltanto “nel nostro Paese”.

Nel testo del Bilancio sociale della procura, tra l'altro, lo stesso Greco scrive che “a livello internazionale, al colonialismo si è andata via via sostituendo la corruzione che ha sostenuto regimi

corrotti e dittatoriali, depredando per pochi spiccioli le risorse dei Paesi a scapito dello sviluppo democratico, economico e sociale di intere popolazioni mantenute a livello di povertà e costrette ad emigrare per la fame”.

La politica delle tangenti “sui grandi monopoli di risorse, infatti spiega ancora non esprime soltanto un contratto occulto che lega corrotti (rappresentanti e ministri di governi) e corruttori (dirigenti di società multinazionali).

Tale sistema, in altre parole, non si limita a danneggiare il loro business o la loro reputazione, ma costituisce un meccanismo consolidato che incide direttamente o indirettamente sulla

popolazione dei Paesi coinvolti, razziandone le risorse necessarie allo sviluppo socio-economico e peggiorandone, di conseguenza, le condizioni di vita”. Un “circolo vizioso” che “l’attività della procura è impegnata, nell'ambito delle proprie competenze, a combattere”.

Quanto alle violenze e ai maltrattamenti sulle donne e in famiglia, Greco ha dichiarato che, pur essendo “troppo presto per dare un giudizio sulla legge” che ha istituito il “codice rosso”, è “convinto che sia stata un'ottima cosa approvarla.

È vero - ha ammesso - che ha portato qualche problema organizzativo perché la sperimentazione è partita ad agosto. Ci stiamo comunque assestando e il prossimo anno faremo un tagliando sul suo funzionamento”.

L'ultima stoccata del procuratore ha riguardato i numeri del personale del palazzo di giustizia. “Milano ha detto - è la procura che iscrive il maggior numero di reati in Italia pur avendo un organico,

in termini assoluti, notevolmente inferiore a Napoli e Roma e, in termini relativi, imparagonabile rispetto a molti uffici che presentano flussi decisamente più bassi”.

La scopertura riguarda non solo i magistrati, ma soprattutto il personale amministrativo, in questo senso è “necessario investire di più in questi uffici giudiziari”.

Il fenomeno è “ulteriormente aggravato se si considera che negli ultimi anni il legislatore ha sistematicamente aumentato le competenze delle procure distrettuali senza peraltro affrontare

il problema delle piante organiche”, ha concluso, sottolineando però che i risultati ottenuti in questi anni sono “lusinghieri”.

«Porto il nome di mia sorella uccisa: il suo killer libero è un’ingiustizia»

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di Fulvio Bufi

Simonetta, la figlia 11enne del magistrato Alfonso Lamberti, fu uccisa il 29 maggio 1982 da un killer di camorra, ora in libertà. La sorella omonima: «Non si è mai pentito»

«Porto il nome di mia sorella uccisa: il suo killer libero è un'ingiustizia»
Simonetta Serena Lamberti

Il 29 maggio del 1982 la camorra uccise una bambina di 11 anni. Si chiamava Simonetta Lamberti. Suo padre Alfonso era un magistrato, procuratore a Sala Consilina, ed era lui che i killer volevano ammazzare.

Lo seguirono mentre rientrava in auto con la figlia da una gita al mare. Erano stati a Vietri. In spiaggia la bambina aveva giocato, al ritorno era stanca, voleva solo andare a casa, a Cava dei Tirreni. Non ci arrivò mai.

Lungo la strada un’altra macchina li affiancò e da dentro cominciarono a sparare. Alfonso Lamberti fu colpito alla testa, ma sopravvisse. Simonetta no. Simonetta morì.
I contatti con l’omicida
Trentadue anni dopo il camorrista che nel 2011 confessò di essere il responsabile di quell’agguato e nel 2014 fu condannato a 30 anni di carcere, è un uomo libero. Ma c’è un’altra Simonetta Lamberti che però, come se parlasse a nome di quella sorella che non ha mai potuto conoscere e di cui porta il nome, stavolta è viva e può ribellarsi.

«Quell’uomo l’avevo anche perdonato. Mi mandò due lettere, sembrava sincero, lo incontrai in tribunale e lo guardai negli occhi. Poi gli regalai una foto di mia sorella. Pensavo che fosse davvero pentito e che volesse pagare per le sue colpe. Non era così».
«È rimasto camorrista: allora non ci sto»
Quell’uomo si chiama Antonio Pignataro, oggi ha 62 anni e la sua storia di camorrista passa per la Nco di Raffaele Cutolo e poi per il cartello che ne fu rivale, quello della Nuova Famiglia. È uno che ha attraversato tutto l’arco criminale degli anni Ottanta.

«Eppure è la seconda volta che torna in libertà. La condanna per l’omicidio di mia sorella aveva smesso di scontarla già due anni dopo la sentenza.

Gli concessero i domiciliari perché aveva il cancro, e io quella volta non fiatai, pensavo che sarebbe stato come infierire contro un essere umano già colpito da una malattia così grave.

Ma lui ha continuato a fare il camorrista e la giustizia continua a restituirgli la libertà. E allora no, non ci sto. Voglio sapere come è possibile che uno così sia stato rimandato a casa ancora una volta».
L’incubo
In effetti l’ultima scarcerazione di Antonio Pignataro non ha nulla a che fare con l’omicidio di Simonetta Lamberti. Nel 2017 era stato arrestato in una indagine per voto di scambio politico mafioso a Nocera Inferiore, la cittadina salernitana in cui è nato e ha sempre operato.

E dove è tornato a vivere adesso con l’obbligo di dimora e di non uscire di casa tra le 22 e le 8. Nel gennaio scorso, durante il processo per queste ultime accuse, disse che le sue condizioni di salute erano peggiorate, che i tumori erano diventati due e perciò chiedeva di essere scarcerato.

Non fu accontentato, come non fu accolta l’istanza presentata dal suo avvocato. Ma nel frattempo i termini di detenzione preventiva sono scaduti.

Quindi Pignataro è libero. E Simonetta Lamberti, invece, è sempre più prigioniera dell’incubo di poter incontrare in qualsiasi momento l’uomo che ha segnato la vita sua e della sua famiglia, e che così pentito del suo passato di camorrista non doveva esserlo, se poi ha continuato a farlo.

«Io lo so che probabilmente a me nessuno spiegherà nulla, perché i parenti delle vittime non hanno diritti.

Possono essere parte civile al processo, ma poi tutto quello che viene dopo passa sulle loro teste e devono solo accettarlo. Però non è giusto. Pignataro ha ucciso mia sorella e ha ucciso l’intera nostra famiglia».
La caccia all’assassino
Alfonso Lamberti è morto tre anni fa, ma da quel giorno dell’82 la sua esistenza è stata inesorabilmente segnata.

E si è consumata tra il dolore e complesse vicende che lo spinsero a imboccare strade tortuose pur di trovare gli assassini di sua figlia (li cercò prendendo contatti con boss di camorra e il pentito Pasquale Galasso lo accusò di aver anche fatto favori ai clan).

E anche la vita di Simonetta Lamberti (anzi, Simonetta Serena, perché il suo nome doveva essere Serena, ma il padre impose anche quello della figlia uccisa) scorre da 36 anni nel segno della tragedia familiare.

«Ho una sorella con cui non ho mai giocato, non ne conosco la voce, non ho nessun ricordo di me e lei. Solo la sua ombra. Che cerco inutilmente di afferrare ogni giorno».

Padova: prete posta foto porno sulla chat dei cresimandi. La Diocesi lo rimuove

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di Davide D’Attino

PADOVA Una foto «hot», con tanto di santini sullo sfondo, nella chat del catechismo. Grande sconcerto e imbarazzo a Padova tra i fedeli di una delle chiese più frequentate della zona ovest della città, dalla quale è di recente stato allontanato un sacerdote di 73 anni, strettissimo collaboratore del parroco.


Rimosso per la «disavventura»
L’anziano religioso, che fino a un paio d’anni fa si occupava della sala di preghiera allestita all’interno di un grande centro d’accoglienza per i profughi della provincia di Venezia, è stato rimosso dal proprio incarico, su decisione del vescovo padovano monsignor Claudio Cipolla, in seguito appunto a una «disavventura» dai contorni piuttosto «hard».

La vicenda, sulla quale i vertici della parrocchia e quelli della Diocesi hanno invano provato a mantenere il più assoluto riserbo, risale alla fine di settembre scorso. Ma inevitabilmente, come quasi sempre succede in circostanze del genere, la cosa è venuta a galla.

E nel giro di poco più di tre settimane, è giunta alle orecchie di decine di persone. Tanto che da un po’ di giorni, dentro e fuori il quartiere in questione, non si parla d’altro.
Le immagini dello scandalo
Teatro dell’«incidente» a luci rosse, come dimostrano gli «screenshot» memorizzati in tanti telefonini, è una chat di WhatsApp creata dallo stesso sacerdote e da due catechiste insieme con i genitori di circa venti bambini di quinta elementare (quindi di nove/dieci anni), prossimi a ricevere i sacramenti della Comunione e della Cresima.

Una chat, come ormai capita un po’ in tutti gli ambiti, dalla scuola allo sport passando per il lavoro, che viene adoperata per scambiarsi informazioni e darsi appuntamenti. E proprio questo sta accadendo quando, una sera, tra un messaggio e l’altro, qualcuno pubblica la foto «incriminata».

Cioè un pene in primo piano, una mano «tempestata» di anelli e, sullo sfondo, una mensola con appoggiati due santini religiosi. Lì per lì, evidentemente, nessuno fa caso a chi l’ha spedita. Tutti, infatti, si concentrano su altro.

Poi però, quando ci si accorge che il mittente è proprio l’anziano prete, mamme e papà stentano a credere ai loro occhi e reagiscono imbufaliti: «Padre, ma cosa fa? E’ impazzito? Cos’è questa schifezza? La tolga immediatamente! Per fortuna che i nostri figli sono già a letto e non invece qui a guardare il cellulare assieme a noi!».
Catechiste sotto choc
A quel punto, nel disagio più totale, una delle catechiste tenta di placare gli animi, sostenendo che il telefonino del sacerdote sarebbe stato colpito da un hacker e che, di conseguenza, lo scatto «hard» sarebbe stato inviato da qualche ignoto pirata informatico.

Il religioso invece, senza apparentemente mostrare alcun turbamento, si rifà vivo soltanto la mattina seguente: «Carissimi, sono dispiaciuto di quanto successo ieri notte. Stamattina - scrive - ho parlato con il parroco e mi ha consigliato di mettermi in contatto con la polizia postale.

Cosa che ho fatto. Ora sono in attesa di avere delle informazioni precise. Vi auguro buona giornata».
Le scuse
Nessuno, chiaramente, presta fede alle parole del prete. E più di qualche genitore, sempre più stupefatto e rabbioso, si sente addirittura preso in giro: «Hacker, polizia postale – sbotta un papà – Ma credono forse che siamo tutti scemi?». Indignazione e collera, insomma, crescono a dismisura.

A tal punto che poche ore dopo, rispondendo alla sommossa delle famiglie, tocca sempre a una delle catechiste comunicare che «i superiori e la Curia stanno prendendo provvedimenti nei confronti del don, il quale non sarà più presente nella nostra comunità. Vi chiediamo di mantenere riservatezza sull’accaduto, dato che si tratta di una vicenda molto delicata».

La storia però, in questa grande parrocchia di Padova, è subito diventata di dominio pubblico. E la foto di quel pene e di quella mano piena di anelli, con quei santini sullo sfondo, ha presto cominciato a fare il giro di tante altre chat di WhatsApp. Preti, sesso e nuove tecnologie. Un mix esplosivo.

Da noi contattata, per la cronaca, la Diocesi ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione. Almeno per ora.

La Chiesa valdese contro il crocifisso in Regione: “La laicità dello Stato è un valore”

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Patrizia Mathieu: “Chiediamo l’attuazione del mandato costituzionale attraverso la promulgazione di una legge sulla libertà di culto”


La moderatora della Tavola Valdese Alessandra Trotta

«Le istituzioni di uno stato laico devono mantenere una corretta distanza dalle scelte dottrinali dei cittadini». E’ uno dei passaggi salienti della presa di posizione della Chiesa valdese di Torino in vista della seduta convocata domani in Consiglio regionale.

Più precisamente, con riferimento al dibattito, che si annunci acceso, sulla volontà da parte della maggioranza di centrodestra-Lega di posizionare nell’Aula del parlamentino piemontese un crocifisso.

Piani diversi
«Come Chiesa Cristiana Riformata predichiamo Cristo crocifisso e risorto. La resurrezione del Cristo è la base della nostra fede e trasforma la passione e la morte del Cristo in un atto di redenzione e salvezza per l’umanità intera».

Premesso questo, ed eccoci al punto: «Queste nostre convinzioni non ci impediscono di ritenere che le istituzioni di uno stato laico debbano mantenere una corretta distanza dalle scelte dottrinali dei cittadini - si premette nel comunicato firmato da Patrizia Mathieu, presidente protempore del concistoro di Torino.

Ci sembra importante ricordare quanto ha recentemente espresso la Tavola Valdese, l'organo esecutivo delle chiese valdesi e metodiste in Italia, per voce della moderatora Alessandra Trotta».

A seguire, la citazione: «La nostra storica critica al crocifisso di Stato è duplice come cittadini/e italiani/e riteniamo che violi il principio di laicità dello Stato e neghi la dimensione pluralista della società italiana.

Il crocifisso non è, infatti, un simbolo “neutro” e il suo utilizzo come strumento di identificazione nazionale, sociale o politica è stato spesso, purtroppo, foriero di divisione e conflitti».

«No alle strumentalizzazioni»
«Ci uniamo anche alle recenti affermazioni dei tanti fratelli cattolici come Papa Francesco e Padre Bartolomeo Sorge, nella preoccupazione che la difesa dei simboli religiosi sia strumentale alle ragioni dei partiti politici e pertanto chiediamo che

l’attenzione della politica sia rivolta verso l’attuazione del mandato costituzionale attraverso la promulgazione di una legge sulla libertà di culto e di pensiero tutt’ora mancante nel nostro ordinamento  prosegue il comunicato della Chiesa valdese di Torino.

Ricordiamo ai nostri rappresentanti nelle Istituzioni che la libertà di religione di migliaia di nostri/e concittadini/e aderenti a fedi non tutelate dalle Intese è ancora soggetta alle leggi di Polizia del Ventennio Fascista.

Questo ci sembra l'argomento da mettere al più presto all’ordine del giorno del Consiglio Regionale di una Regione in cui le espressioni religiose e non religiose sono varie e multiformi e costituiscono la ricchezza del nostro tessuto sociale e culturale».

Un segnale chiaro in vista della seduta di domani.

Terrazze e attici: chi paga i danni in caso di infiltrazioni al piano inferiore

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di Nicola Frivoli*

Terrazze e attici: chi paga i danni in caso di infiltrazioni al piano inferiore

Il terrazzo o lastrico solare ha una posizione del tutto particolare perché viene citato sia nell’elenco delle parti comuni contenute nell’art. 1117 c.c., ma è anche oggetto di una norma ad hoc per regolamentare la ripartizione delle spese (art. 1126 cc.) nel caso in cui il lastrico che in ogni caso svolge funzione di copertura a favore dell’edificio sia esclusivo.

L’art. prevede 1226 c.c. prevede infatti che, quando il terrazzo di copertura (o il lastrico solare) non è comune a tutti i condòmini, come per esempio nel caso di un attico, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo alle spese per

le riparazioni o ricostruzioni del lastrico, mentre i restanti due terzi sono a carico di tutti i condòmini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione delle tabelle millesimali.
 
Se però la terrazza a livello copre un unico locale al di sotto di essa, in modo da costituire un corpo di fabbrica distaccato dall’edificio condominiale principale, resta esclusa ogni responsabilità del condominio per la mancata manutenzione del terrazzo e dei conseguenti danni.
Non si applica l’art. 1126
Il caso è stato affrontato dal Tribunale di Napoli con sentenza del 10 giugno 2011. Una società condomina, proprietaria di un locale posto al di sotto del terrazzo di copertura di proprietà della stessa, facente parte di un edificio in condominio con corpo di fabbrica principale autonomo rispetto a quello

della società, ha citato in giudizio l’intero condominio per ottenere il risarcimento del danno derivante da infiltrazioni d’acqua provenienti proprio dal terrazzo e che avevano interessato il locale inferiore, comprese le attrezzature esistenti nello stesso. La domanda è stata accolta dal Tribunale partenopeo, condannando il condominio a risarcire i danni richiesti.

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 25 ottobre 2017, ha riformato la pronuncia del giudice di primo grado perché il terrazzo dal quale provenivano le infiltrazioni in questione copriva esclusivamente il locale della società attrice, pertanto, alcuna responsabilità poteva essere ascritta al condominio, sul quale non gravava alcun obbligo di manutenzione del terrazzo.

Anche la Cassazione confermava la decisione della Corte d’Appello precisando che l’obbligo del condominio di concorrere al risarcimento dei danni da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o dalla

terrazza a livello che non sia comune, ex art. 1117 c.c., a tutti i condomini, è quindi legato all’accertamento che tale funzione di copertura riguardi l’intero edificio (Cass.civ.ord. 20.6.2019, n.16625).

Pertanto, bene ha fatto il giudice di secondo grado a escludere ogni tipo di responsabilità da parte del condominio per l’omessa manutenzione della terrazza di proprietà della società condomina ricorrente, in considerazione del fatto che la terrazza svolge funzione di copertura solo del locale della stessa.

Tale circostanza infatti fa venir meno l’ obbligo di curarne la manutenzione in capo al condominio.In conclusione, si può affermare che il condominio non risponde dei danni arrecati da infiltrazione provenienti da un terrazzo privato di proprietà

esclusiva di uno dei condomini ed è obbligato, in questo caso, solo ad adottare tutte le misure necessarie affinché le parti comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, in quanto custode di beni e servizi comuni.


**Comitato Scientifico del portale Condominio e Locazionedi Giuffrè Francis Lefebvre.

Russi infiltrati tra gli hacker iraniani: la nuova frontiera delle cyber spie

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di Alessandra Muglia

Un’indagine degli 007 Usa e britannici rivela che Mosca sta usando come cavallo di Troia le operazioni nel web dell’intelligence iraniana. «Così aumenta il caos». Facebook avverte: troll riconducibili ai russi stanno lanciando attacchi a Biden e post pro Trump

Russi infiltrati tra gli hacker iraniani: la nuova frontiera delle cyber spie

Cyber 007 russi in azione ma «travestiti» da spie iraniane, agenti informatici di Mosca in grado di hackerare gli hacker di Teheran e sferrare attacchi in mezzo mondo, rubando anche segreti di Stato, senza essere riconosciuti. Almeno finora.
Cavallo di Troia
Perché un’indagine condotta insieme dall’intelligence britannica (Gchq) con l’Nsa americana ha rivelato i russi stanno usando come cavallo di Troia le azioni di cyber spionaggio iraniano. In particolare il gruppo Turla, legato al servizio di sicurezza russo FSB, ha sfruttato

un’operazione di spionaggio iraniana condotta dal gruppo OilRig (anche chiamato Apt34) per veicolare, negli ultimi 18 mesi, attacchi contro governi e organizzazioni industriali di oltre 35 Paesi, di cui una ventina andati a buon fine.
Bersagli
Tra i bersagli ci sarebbero postazioni militari, dipartimenti governativi, gruppi scientifici e università di tutto il mondo, soprattutto in Medio Oriente.

Una sorta di travestimento, probabilmente all’insaputa di Teheran. Infatti non vi sono prove di collusione tra il gruppo Turla, vicino al servizio di sicurezza russo FSB, e l’APT34 che lavora per il governo iraniano.
Caos
Turla è riuscita a lanciare propri attacchi usando infrastrutture e software degli iraniani. «Un livello così sofisticato di azione non s’era mai visto» ha dichiarato. Paul Chichester, direttore dell’Ncss, presentando l’indagine.

Chichester ha definito il modus operandi di Turla «un cambiamento radicale del modus operandi degli attori legati al cyber-spionaggio, che crea un senso di confusione». Un caos da cui i russi trarrebbero vantaggio in un momento di alto allarme negli Usa per le interferenze di Mosca nelle elezioni del 2020.

Nella notte Facebook ha segnalato che troll riconducibili ai russi stanno diffondendo attacchi infondati contro Biden e post favorevoli a Trump.

Hacker russi, il vero scopo
degli attacchi “mascherati”

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di Daniele Manca

Attraverso una sofisticata operazione si sono introdotti nei sistemi di hacker iraniani, rubato i loro sistemi per poi lanciare gli attacchi in ben 35 nazioni

Hacker russi, il vero scopo  degli attacchi 'mascherati'

Ancora una volta hacker russi in azione. Questa volta attraverso una sofisticata operazione si sono introdotti nei sistemi di hacker iraniani, rubato i loro sistemi per poi lanciare gli attacchi in ben 35 nazioni.

A darne notizia ieri è stato il «Financial Times» che ha rivelato i risultati di due anni di indagini condotte congiuntamente dalla National security agency americana e l’inglese National cyber security centre.

Ad agire sarebbe stato il Turla group, degli hacker considerati collegati al Cremlino. Gli hacker infiltrati sarebbero quelli dell’ Oilrig che, sempre secondo quanto rivelato dal «Financial Times», collegato a sua volta al governo iraniano.

E’ difficile riuscire a rintracciare un filo nelle azioni di hackeraggio condotte dai gruppi russi. Ma cercare moventi razionali dove questi probabilmente non ci sono è uno sforzo dagli esiti poco certi.

Condurre attacchi “mascherati” da iraniani, vale a dire da coloro i quali vengono considerati alleati dei russi che senso può avere? Analoghe domande potremmo farci per decine di altre azioni che possono essere più o meno ricondotte ad hacker di area russa.

Come è emerso in modo più netto dagli attacchi hacker in occasione delle elezioni americane, il vero scopo di queste azioni sembra essere quello di creare una generica confusione.

Azioni di questo genere spesso sono state condotte facendo in modo di depistare la sicurezza dei vari Stati anche e soprattutto creando false identità. Ma questa è la prima volta che hacker infettano altri gruppi di hacker.

Rendendo così ancora più palese l’intento di destabilizzazione dei vari Paesi e delle varie aree più che avvantaggiare questo o quel governo, questa o quella opposizione.

L’unico obiettivo sembra solo quello di far risultare come vincenti regimi all’apparenza più solidi e stabili. Ma che invece proprio grazie a questi attacchi riescono a spostare l’attenzione dalle loro fragilità economiche e politiche.

Monete rare, ecco le vecchie Lire che possono valere anche 4.000 euro

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di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Le lire italiane
Chi di noi non conserva in un vecchio borsellino o in fondo a un cassetto qualche moneta del «vecchio conio»? La lira italiana è stata valuta del nostro Paese dal 1861, anno dell’unità nazionale, fino al 28 febbraio 2002, quando è stata sostituita legalmente dall’euro.

Con le lire non possiamo più comprare il pane o pagarci una pizza, ma alcune di quelle monete sono ora così rare da valere una piccola fortuna (oltre che essere molto ambite dai collezionisti). Vediamo allora come riconoscere quelle «preziose» da quelle più comuni e di scarso interesse.


Le lire più preziose: quelle coniate negli anni 50
Come spiega bene il sito moneterare.net, una moneta rara e di valore dipende dall’anno di conio, dal materiale con cui è stata realizzata, dal periodo storico e da eventuali errori di conio. Le lire che hanno un reale valore per i collezionisti sono quelle coniate durante gli anni 50.

Naturalmente, come sempre quando si parla di monete da collezione, devono essere in condizioni ottime, altrimenti il loro valore scende drasticamente.



Lira italiana «arancia» 1947
La lira con il ramo di arancio e il frutto maturo da un lato, la donna col capo ornato di spighe dall’altro: quella del 1947 può arrivare a valere anche 1.500 euro.


Le lire piu preziose 
Sempre nel 1947 fu coniata anche la moneta da 2 lire con la spiga di grano e il contadino intento ad arare. Qui il valore sale: un collezionista è disposto a pagare per questa moneta anche 1.800 euro.


5 lire italiane «uva» del 1946
Siamo nel 1946 e questa fu la prima moneta da 5 lire coniata dalla neonata Repubblica italiana. Se non ve la ricordate, chiedete ai vostri genitori o nonni: è stata una delle più diffuse per molti decenni. Sul rovescio compare un grappolo d’uva, sul dritto compare il profilo di una donna che regge nella mano una fiaccola.

La versione considerata rara è realizzata in un materiale detto Italma (Italiano Alluminio Magnesio), una delle leghe usate dalla Zecca, composto da alluminio, magnesio e manganese. Pesa 26,7 grammi e se è perfettamente conservata può valere anche 1.200 euro.


5 lire italiane «delfino» del 1956
Le 5 lire erano tutt’altro che rare all’epoca. Oggi, vale la pena andarle a cercare in fondo ai cassetti dei nonni perché un collezionista è disposto a pagarle anche 2.000 euro, se in ottimo stato e se del 1955. Queste infatti furono coniate in soli 400 mila esemplari, rendendole di fatto oggi piuttosto rare.

10 lire italiane «olivo» del 1947
Le 10 lire del 1947 con un rametto di olivo e un cavallo alato sono davvero da collezione: molto rare possono superare i 4.000 euro.


20 lire italiane «prova» del 1956
Questa moneta al dritto vede una testa di donna voltata verso sinistra, cinta da una corona d’alloro. Al Verso è raffigurato un ramoscello di quercia, con a sinistra l’indicazione del valore L.20, e più in basso il segno di zecca R, a destra il millesimo di conio. Se sulla moneta c’è incisa la parola «prova» il suo valore supera i 300 euro.


50 lire italiane «Vulcano» del 1958
Siamo nel 1958, sulla moneta vi è raffigurato il dio Vulcano nudo che batte il metallo sull’incudine, sul dritto c’è una testa coronata e la scritta «Repvbblica italiana». Se in buone condizioni, queste monete che furono prodotte in 800 mila esemplari, oggi molto rare, possono raggiungere i 2.000 euro.

100 lire del 1955
Le prima 100 lire furono coniate nel 1955. E proprio quelle uscite dalla Zecca quell’anno, se conservate ottimamente ora valgono più di 1.000 euro

200 lire italiane «prova» del 1977
Nel caso delle 200 lire del 1977 a fare la differenza è la presenza della scritta «prova». Moneta molto rara, può arrivare a valere 800 euro circa.










Il veterano in fin di vita e l’ultimo abbraccio in ospedale al suo cane

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John Vincent, ex Marine americano reduce del Vietnam, ha avuto la possibilità di passare un’ultima giornata con il suo Patch nell’ospedale in cui è ricoverato

Il veterano in fin di vita e l'ultimo abbraccio in ospedale al suo cane

Un veterano americano in fin di vita ha avuto la possibilità di incontrare per l’ultima volta il suo cane. John Vincent, ex Marine di 69 anni impegnato per anni nella guerra del Vietnam, è stato ricoverato pochi giorni fa ad Albuquerque, in New Mexico, per una malattia che potrebbe non lasciargli ancora molti giorni di vita.
L’ultimo desiderio
Dopo essere stato trasferito in un vicino ospedale dedicato all’assistenza dei veterani, Vincent ha voluto esprimere un ultimo desiderio: vedere per l’ultima volta il suo Patch. La richiesta è stata raccolta da un assistente sociale della struttura che si è mobilitato. Subito ha telefonato al canile di Albuquerque, dove il suo fedele amico era stato portato, non avendo Vincent familiari a cui affidarlo nelle vicinanze.
L’incontro
«Abbiamo detto subito sì - ha spiegato alla Cnn Adam Ricci, responsabile del canile - Così ci siamo messi d’accordo con la struttura sanitaria per organizzare l’incontro». Una reunion che si è concretizzata venerdì. Vincent, visibilmente commosso, ha potuto riabbracciare il suo Patch, emozionato quanto il padrone sul quale ha vegliato per tutta la giornata.
Un Paese commosso
Dopo l’incontro, Patch ha fatto ritorno al canile. Nel frattempo la storia era già diventata virale, commuovendo gli Stati Uniti e spingendo tantissime persone in tutto il Paese a inviare richieste di adozione alla struttura. Ricci, però, ha detto che non avranno problemi a trovare una nuova casa per Patch nelle vicinanze.

Il modernissimo sistema di missili nucleari americano si prepara ad abbandonare i… floppy disk!

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Luciana Grosso


Un assistente militare porta la "football," una valigia in cuoio contenente piani bellici nucleari riservati, sull’Air Force One nella Andrews Air Force Base, 7 aprile 2010. Cliff Owen/AP
Ricordate i floppy disk? I primi dischetti portatili su cui, negli anni ‘90, si conservavano e trasportavano i dati? Ecco: c’è chi li usa ancora.

E no, non stiamo parlando di cocciuti affezionati a computer d’antiquariato come il 386 o il Pentium (quanti ricordi!) ma della difesa degli Stati Uniti d’America che gestisce, ancora oggi, il suo sistema di difesa missilistica nucleare, con dei floppy disk.

Ad oggi, infatti, nello sciagurato caso in cui si decida di lanciare un attacco missilistico nucleare (quello i cui codici segreti sono custoditi nella valigetta del presidente) per la sua esecuzione effettiva, è previsto l’inserimento dei floppy in un computer Ibm Serie 1 con installato il software SACCS (Strategic

Automated Command and Control System), datato niente meno che 1968 (un recente rapporto del Government Accountability Office ha rilevato che il SACCS era uno dei più antichi investimenti tecnologici federali).

Un problema che può facilmente tradursi in un problema di sicurezza. Per questo il Pentagono ha avviato il ricambio di macchine e software, con  una “soluzione di storage digitale a stato solido dalla sicurezza elevata”.

C’è un paradosso però: ciò che fino ad oggi ha reso SACCS inviolabile, è proprio il suo essere in qualche modo obsoleto; non è connesso alla Rete, non dispone di un indirizzo IP, non permette alcun tipo di accesso da remoto.

Chissà mai che sostituirla possa non essere una idea poi così buona.

La carta di credito Apple accusata di sessismo. Aperta inchiesta negli Usa

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di Antonella De Gregorio

La carta di credito Apple accusata di sessismo. Aperta inchiesta negli Usa

La Apple Card, che ha debuttato in estate negli usa, è accusata di sessismo: secondo le segnalazioni di diversi imprenditori discriminerebbe le donne, assegnando loro limiti di spesa più bassi rispetto agli uomini.

Il dipartimento per i servizi finanziari (Dfs) dello stato di New York ha aperto un’indagine per accertare se Apple Card, la prima carta di credito di Goldman Sachs, offre davvero differenti limiti di credito, discriminando tra i sessi.

«Qualsiasi discriminazione, intenzionale o meno, viola la legge di New York», ha spiegato il Dfs dopo aver contattato la banca di investimenti.
I limiti
Tra i primi a segnalare il fatto che gli algoritmi usati per fissare i tetti della carta penalizzino le donne, è stato, via Twitter, l’imprenditore David Heinemeier Hansson (programmatore danese e creatore del framework di sviluppo web Ruby on Rails), il quale

ha rivelato che Apple Card gli ha dato un limite 20 volte superiore a quello della moglie, nonostante quest’ultima abbia una valutazione migliore in materia di solvibilità.

Poco dopo Steve Wozniak, che ha fondato Apple insieme a Steve Jobs, ha twittato che a lui e alla moglie è capitata la stessa cosa, benché non abbiano conti o asset separati.
L'algoritmo discrimina
«Apple Card - ha twittato Hansson - è un programma sessista. Non importa quale sia l'intento dei rappresentanti di Apple, importa l'algoritmo in cui hanno riposto la loro completa fiducia. E quello che fa è discriminare».

Subito dopo la denuncia, ha rivelato ancora l'imprenditore - il limite di spesa della moglie è stato aumentato. «Un ulteriore segno - ha detto - che l'algoritmo discrimina».
Le decisioni sul credito
Contattata dall’agenzia Bloomberg, Goldman Sachs ha commentato: «Le nostre decisioni sul credito sono basate sulla affidabilità creditizia dei clienti e non su fattori come il sesso, la razza, l’età, l’orientamento sessuale o altri criteri proibiti dalla legge».
La Apple Card
La Apple Card, lanciata ad agosto, è commercializzata sul sito del produttore di iPhone come «un nuovo tipo di carta di credito, creata da Apple, non da una banca».

Scoperta la perla naturale più antica del mondo

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di Carlotta Lombardo


Risale a 8000 anni fa ed è stata rinvenuta su un’isola al largo della capitale degli Emirati Arabi Uniti. Dal 30 ottobre verrà esposta al Louvre di Abu Dhabi

«La perla di Abu Dhabi», così come è stata soprannominata, la perla naturale più antica al mondo scoperta su un’isola al largo di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi. Risale a 8.000 anni fa ed è stata rinvenuta durante gli scavi sull’isola di Marawah, che ha rivelato anche la prima architettura degli Emirati Arabi Uniti.

Gli scavi sull’isola di Marawah, incentrati su numerose strutture in pietra crollate, hanno anche rivelato ceramiche, perle fatte di conchiglie e pietre e punte di freccia in selce.
In mostra al Louvre
Gli archeologi hanno usato la datazione al radiocarbonio per determinare che la perla risaliva tra il 5800 e il 5600 a.C. All’epoca le perle erano probabilmente indossate come gioielli e venivano scambiate con la Mesopotamia l’antico Iraq per ceramiche e altri beni, secondo gli esperti Emerati.

Le autorità hanno affermato che la scoperta ha dimostrato che le perle erano state commercializzate nella regione sin dal Neolitico.

«La scoperta della perla più antica del mondo ad Abu Dhabi chiarisce che gran parte della nostra recente storia economica e culturale ha radici profonde che risalgono agli albori della preistoria», ha dichiarato Mohamed Khalifa Al Mubarak, presidente di Abu Dhabi Dipartimento di Cultura e Turismo.

La «perla di Abu Dhabi» sarà esposta come parte della mostra «10.000 anni di lusso» del Louvre Abu Dhabi, che aprirà il 30 ottobre.

D-Orbit: «Così ripuliamo lo spazio dai rifiuti e ci prepariamo a colonizzarlo»

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Massimiliano Jattoni Dall’Asén

Smaltimento rifiuti. D-Orbit: «Così ripuliamo lo spazio e ci prepariamo a colonizzarlo»

Sono stati quasi 7 mila i satelliti lanciati nello spazio dal 1957 l’anno memorabile del primo Sputnik  a oggi. Di questi, molti si sono scontrati tra loro o sono esplosi.

Ora, lassù, attorno al nostro pianeta, galleggiano secondo lo Space Debris Office dell’Agenzia spaziale europea qualcosa come 130 milioni di detriti.

Non una buona notizia, ma di certo un interessante nuovo business, quello del waste management spaziale, per chi ha la tecnologia adatta per proporsi come «spazzino dello spazio».
Prima azienda nel trasporto orbitale
Luca Rossettini, classe 1975, è il ceo e fondatore di D-Orbit, azienda di Fino Mornasco, vicino al lago di Como, che nel 2018 ha registrato ricavi per 4,1 milioni di euro (quest’anno ha già chiuso 5 milioni di contratti) e che tra le sue competenze ha il recupero della spazzatura in orbita, ma soprattutto quella della logistica spaziale.

«La rimozione dei detriti è stato un primo passo — spiega Rossettini. E oggi siamo la prima azienda al mondo di trasporto orbitale di piccoli satelliti». Perché è questa la nuova frontiera dell’economia, una frontiera mobile che, almeno in teoria, non ha confini.
«Il piano B per il pianeta sarà la colonizzazione dello Spazio»
Così, dopo il D-Orbit Decommissioning Device, motore intelligente specializzato nell’esecuzione rapida e sicura per lo smaltimento dei detriti spaziali, l’azienda di Fino Mornasco ha risposto alla sfida

dell’innovazione spaziale con InOrbit Now, un servizio di lancio e rilascio di satelliti miniaturizzati che offre alle aziende la possibilità di trasportare i payload (il carico utile) in una posizione orbitale precisa e in poche settimane.

«La Storia dell’uomo ci insegna che ogni civiltà ha controllato la sua espansione attraverso la costruzione di vie di comunicazione racconta Rossettini.

Ora l’uomo ha alzato lo sguardo all’infinito dello spazio e siamo sul punto di immaginare concretamente le prime colonie umane su altri pianeti».

Secondo il ceo di D-Orbit si sta concludendo la fase «piatta» che è servita per costruire tecnologia e competenza e «siamo pronti per una crescita esponenziale.

Le aziende conclude Rossettini hanno la capacità e la responsabilità di aiutare la società a evolversi. Per l’umanità e per la salvezza del nostro pianeta il piano B potrebbe essere davvero la colonizzazione dello Spazio. E per farlo è fondamentale sviluppare il mercato dei servizi in orbita».

«Pixi», la storia del gatto con due famiglie ignare del suo «inganno»

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di Silvia Morosi

Il felino ha due nomi, Pixi e Huarace, due ciotole piene di croccantini e due case. A scoprire «l'imbroglio» è stata una delle due padrone, quando l'animale è tornato con un nuovo collarino. La conferma in uno scambio di messaggi tra le proprietarie

«Pixi», la storia del gatto con due famiglie ignare del suo «inganno»

Per una famiglia è Pixi, per un'altra Huarache.

Parliamo di un gatto che scompare per gran parte della giornata, che torna a pancia sempre piena e che un giorno, addirittura, rientra con un collarino diverso. È così che la sua padrona, Mary Lore Barra di Tampico, città messicana sulla sponda settentrionale del fiume Panuco, decide di indagare, come racconta El Imparcial.

Attacca un bigliettino al collare dell'animale e scopre la doppia vita del «suo» Pixi: quando scompare, si reca in quella che considera, a tutti gli effetti, la sua seconda casa (dove ha una seconda ciotola, sempre piena, ndr). Al suo messaggio «Si chiama Pixi il gattino.

Penso che abbia due case, hahaha» la seconda proprietaria ha replicato: «Qui si chiama Huarache. Saluti! Gli altri genitori del gattino». A raccontare la vicenda è stata Mary Lore Barra con un post su Facebook, corredato da diverse fotografie dell'animale.
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